VIVERE IN MESSICO
Vivere in Messico. Il terremoto e la solidarietà raccontati da un expat italiano
Denis Tolfo

Denis Tolfo

Sono un ragazzo dell’ottantacinque della campagna vicentina che la vita ha catapultato in una metropoli antropofaga. Ho una laurea in Storia e una laurea Magistrale in Scienze delle Religioni. Mi guadagno da vivere a Città del Messico dando lezioni di italiano, francese e spagnolo a messicani e stranieri che abitano in Messico, per scuole, imprese o privati. Vivo in una casa in collina, tranquilla e circondata da un bosco miracolosamente salvatosi dall’espansione cittadina. Sono sposato con una messicana e abbiamo due cani a cui parlo in dialetto. Amo mangiare, bere, viaggiare, leggere, scrivere, infatti da quasi 3 anni amministro un blog in cui scrivo ogni settimana descrivendo questo paese, https://messicando.wordpress.com/. Odio le attività adrenaliniche, guidare e non mi interessa lo sport in generale. Unica eccezione delle lunghissime camminate, di 5 o 6 ore in ambiente urbano o in campagna. Sono una persona timida ma quando do lezioni indosso una maschera spigliata e molto più divertente. Se avete bisogno di informazioni su questo paese o volete spettegolare un po’, scrivetemi pure!

Vivere in Messico è stata una scelta d’amore e anche una scommessa dettata dalle scarse possibilità occupazionali del nostro Paese. Sono originario della provincia di Vicenza e dopo la laurea magistrale umanistica, nel gennaio del 2012 ho deciso di provare l’avventura di emigrare in terra azteca, trasferendomi a Città del Messico.

In questo strano e bellissimo paese ho trovato lavoro come insegnante di italiano e la mia situazione economica è lentamente migliorata fino a permettermi uno stile di vita confortevole. Vivere in Messico significa avere a che fare con una nazione accogliente, complessa e difficile da inquadrare.  Lo stesso vale per i messicani.

Gli italiani in Messico

I primi tempi della mia vita in Messico ho cercato di fare amicizia con i miei connazionali, ma ho presto desistito perché la maggior parte delle persone che ho incontrato cercavano di vivere in una bolla di italianità, mangiando cibi e frequentando persone che avessero poco a che spartire con il Messico.

Io, al contrario, ho presto cominciato un processo di “messicanizzazione”: mangio, bevo, parlo… a volte mi rendo conto che addirittura penso come un messicano. Nel bene e nel male! Un esempio: ordinare una pizza “al pastor” con carne speziata, cipolla e ananas non mi sembra più un obbrobrio. Ho presto sostituito la grappa con la tequila e quando guido inveisco (tristemente) come un messicano. Oggi sono abituato al traffico e ai chilangos (così vengono chiamati gli abitanti della capitale) e vivere in Messico mi piace. Sola isola di italica cultura che mi è rimasta: la moka e il sacro espresso.

Vivere in Messico mi ha fatto comprendere il razzismo tipico di qui: è  l’indigeno ad essere discriminato da queste parti, ovvero il messicano che meno ha avuto incroci con altri popoli. Meno una persona “sembra messicana”, insomma, meglio è.

Criminalità, corruzione e rispetto per gli europei

A città del Messico la criminalità, purtroppo, è elevata, ma evitando zone, orari e situazioni potenzialmente pericolose, ho potuto vivere sei anni senza avere mai problemi.VIVERE IN MESSICO

La corruzione è quasi onnipresente, ma l’ufficio di Migración si salva, quindi se qualcuno avesse intenzione di corrompere un agente che sta lavorando alla sua pratica migratoria, è bene sapere che verrà espulso dal Paese senza possibilità di ritorno.

I messicani pensano bene di quasi tutti gli stranieri e degli europei in particolare. In quanto italiani, ci vedono come raffinati, eleganti, socievoli e amanti del calcio. Che orribile delusione quando mi conoscono meglio e mi vedono arrivare a lezione un po’ trasandato, o quando dico che il calcio non mi interessa affatto. D’altronde, va anche bene rompere qualche cliché, no?

Vivere in Messico è fare l’abitudine (ma non troppo) al terremoto

In quasi sei anni di vita a Città del Messico ho potuto provare l’esperienza dei terremoti già quattro volte e posso dire di essermi quasi “abituato” a questi cataclismi. Tuttavia e come purtroppo sanno molti italiani che ne sono stati vittime, ogni terremoto è una parentesi di panico e incertezza. La routine si rompe e ti rendi conto che potrebbe finire tutto in quel momento.

Martedì 19 settembre, alle tredici, stavo terminando una lezione di italiano al dodicesimo piano dell’edificio di Fiat Chrysler. Poco dopo ho preso l’ascensore e sono sceso fino alla zona della reception, dove avrei avuto la mia seguente lezione. Quella è stata la mia fortuna. Pochi minuti più tardi ho cominciato a sentire il terremoto e sono corso fuori insieme agli altri impiegati e studenti.

La cosa più terribile è il rumore. Oltre al suono dell’allarme sismico c’è un concerto di rumori inquietanti: finestre e porte che vibrano, aste che sbattono contro i muri. Quando il terremoto è in una zona con tanti alberi, tutti si muovono e producono il suono di un forte vento. E la terra. La terra stessa, che ti fa saltare e che crocca come una fetta biscottata.

vivere in Messico
L’impianto di una fabbrica di assemblaggio auto. Durante il terremoto del 19 settembre sono cadute alcune macchine dalla catena di montaggio

Finito il terremoto, ci siamo tutti calmati e gambe e mani hanno smesso di tremare. Da quel momento è partita la fase più lunga, il controllo. Ogni edificio ha degli ispettori che entrano in azione per verificare tutti i piani e dichiarare ancora agibile la struttura. Le persone sopra il secondo piano non possono evacuare l’edificio finché un ispettore non dà il via libera alla discesa usando le scale di sicurezza. Ci vuole un’enorme volontà per restare dentro, soprattutto quando si vedono le crepe sui muri e i pannelli isolanti del soffitto caduti a terra.

Il dopo terremoto del 19 settembre: il dolore e la solidarietà

Il terremoto, che fino ad oggi ha provocato oltre 270 vittime, ha avuto per epicentro una zona a 50 km della capitale e ha colpito un’area altamente abitata. In città sono caduti diversi edifici isolati, ma negli stati di Morelos e Puebla i danni sono stati molto più gravi.

Io, nonostante il traffico che ostacolava anche l’intervento dei soccorritori, ho avuto la fortuna di raggiungere casa mia in relativamente poco tempo e ho visto che vari oggetti erano caduti (specchi, tazze, quadri, bottiglie…), ma non c’era nessun danno grave, solo poche crepe all’intonaco esterno.

vivere in Messico
Nella foto, un “taquero” dona tacos (le tipiche tortillas messicane con carne) a sfollati e soccorritori

La solidarietà è scattata immediatamente. A tre giorni dal sisma alcuni centri di raccolta della capitale hanno già un esubero di cibo e acqua.

Tutti partecipano come possono, donando denaro a conti privati di persone che vanno a comprare tutto il necessario, offendo cibo o posti letto agli sfollati, trasportando persone o facendo usare gratis le strutture, togliendo le password al wi-fi, lasciando le prese elettriche disponibili per far ricaricare il cellulare. È impressionante, davvero. Vivere in Messico, fortunatamente è anche questo.

Questa “bomba” di soccorsi riesce ad occultare i pochi criminali che hanno lucrato sulla tragedia, rapinando e minacciando le persone che si trovavano per strada, svaligiando le case lasciate vuote, rubando cibo e oggetti che la gente stava accumulando per i soccorsi. Alcuni si sono finti ispettori e hanno chiesto di entrare nelle case per controllare se c’erano stati danni, invece, una volta dentro hanno cominciato a rubare, minacciando gli inquilini.

Ci sono anche zone meno “visibili”, come i villaggi di Morelos, ignorati dalla stampa e dagli aiuti nazionali e internazionali, che solo ora stanno cominciando a ricevere qualche appoggio.

Va riconosciuto che per essere stato un terremoto di grado 7.1 della scala Richter, i morti sono stati relativamente “pochi” e questo si deve al fatto che molte strutture della capitale sono antisismiche, perché nuove o perché distrutte dal drammatico terremoto dell’ottantacinque, e poi ricostruire con maggiori criteri di sicurezza.

E ora? Anche la gente che non ha sofferto nulla (mi iscrivo in questa lista fortunata) sta passando questi giorni con una discreta tensione. Oggi ero un po’ nervoso mentre salivo al dodicesimo piano e mi sono tranquillizzato solo una volta uscito.

La notte quando chiudo la porta lascio sempre la chiave nella serratura per aprirla rapidamente in caso di fuga. Sistemo le ciabatte in modo da potermele infilare in un secondo e metto il cellulare in un punto dove riceve bene e dove l’applicazione Skyalert dovrebbe avvisarmi se arrivano terremoti o se si sveglia il “Popo”. Ah già, dimenticavo, il Popo è il Popocatepetl, il vulcano attivo che si vede dalla città.

Vivere in Messico
Il vulcano Popocatépetl,a una settantina di Km da Città del Messico

Un terremoto bello forte potrebbe farlo arrabbiare, raddoppiando i rischi e i danni. Ma questo lo so da quando sono arrivato. Passeranno le settimane e se non ci saranno altri sismi, riprenderò il mio ritmo tranquillo e spensierato, preoccupandomi solo della fastidiosa pioggia e delle stupidaggini rischiose che sta facendo Trump.

Fino al prossimo terremoto.

 

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