Vivere a New York, lavorare alla Federal Reserve di Washington e vincere i 10 mila euro di premio per la miglior ricerca alla Poster Session dell’EBC Forum on Central Banking (organizzato dalla Banca Centrale Europea) è un sogno per molti studenti di economia e finanza. Matteo Crosignani, milanese classe 1988, è il giovane economista italiano che quest’anno lo ha realizzato.
La sua ricerca, intitolata The Effect of Central Bank Liquidity Injections on Bank Credit Supply (effetti dell’iniezione di liquidità della BCE sul credito bancario), condotta con la collega Luisa Carpinelli della Banca d’Italia, si è aggiudicata la vittoria in uno degli appuntamenti annuali più importanti per gli addetti ai lavori del mondo economico-finanziario internazionale.
La carriera di Matteo Crosignani dimostra, una volta di più, quanto in Italia non manchino le menti brillanti. Il promettente economista italiano si forma prima in Bocconi dove, dopo un triennio, si trasferisce alla London School of Economics per un anno di specializzazione. Nell’estate del 2011 lavora in una banca londinese e nel settembre di quello stesso anno viene accettato alla New York University per un dottorato in finanza.
Come nasce la carriera di un giovane economista italiano negli Stati Uniti
Tutto semplice sulla carta, ma come si fa a entrare in istituti così esclusivi? È indispensabile formarsi all’estero per poter raggiungere obiettivi tanto ambiziosi? E quali requisiti sono indispensabili per farcela?
“Io non credo che in Italia il livello formativo sia scarso – dice Crosignani – ho molti amici che hanno studiato in Università pubbliche con ottimi risultati, ma va detto che io appartengo alla sfera degli studenti che hanno potuto permettersi un’educazione di alto livello. In Bocconi ho imparato molto, ma credo che andare all’estero garantisca un’apertura mentale indispensabile”.
Per Crosignani le sue esperienze all’estero rappresentano i pilastri su cui si fonda la sua brillante carriera.
“Studiare e vivere a Londra e a New York è stata molto importante. Mentre ero ancora in Bocconi, grazie a un programma di mobilità, ho avuto l’opportunità di fare un semestre alla Columbia University e la tesi preparata con una professoressa è stato il mio biglietto da visita per entrare alla NY University. Di fatto, ciò che conta di più oltre al livello di inglese e ai risultati dei test standardizzati, sono le segnalazioni dei docenti che raccomandano questo o quello studente con cui hanno avuto modo di lavorare”.
Matteo Crosignani vive ormai a New York da cinque anni e a settembre comincerà a lavorare per la Federal Reserve a Washington, occupandosi di politiche monetarie. Integrarsi nella cultura a stelle e strisce per lui, che già parla italiano con un leggero accetto americano, non è mai stato un problema.
Lavoro in Federal Reserve, casa a New York
“Manterrò il mio appartamento a New York, perché vivere qui è sempre stato il mio obiettivo e ormai mi sento perfettamente a mio agio. Quando mi domandano di confrontare la qualità di vita italiana e quella che ho negli Stati Uniti mi trovo sempre in difficoltà, perché dipende molto da quali parametri si considerano. Io credo che dipenda molto dall’età e dalle fasi dell’esistenza. Se per qualità di vita pensiamo a una casa grande, al cibo, alla climatologia e all’arte, be’ è chiaro che l’Italia vince. Ma io probabilmente darò valore a queste cose a 50 anni. Per ora preferisco vivere in un “buco” ma in un ambiente molto stimolante come quello di New York”.
Fedele al motto mens sana in corpore sano, Crosignani quando non lavora ama fare sport e incontrare gli amici:
“Il tennis e la corsa sono le mie attività preferite e a New York non mancano i bei posti per praticarle. Lo stesso vale per la vita sociale. Io faccio un lavoro molto solitario, chiuso in ufficio con il computer e i miei fogli tutto il giorno. Per fortuna, la città offre di tutto per uscire e divertirsi”.
Le amicizie di un economista italiano a New York non possono che essere internazionali e provenire per la maggior parte dall’ambiente professionale, ma Crosignani frequenta volentieri anche la comunità di giovani italiani, che trova diversa da quella londinese:
“Negli States – osserva – le barriere all’ingresso sono più alte rispetto a Londra, diventata quasi una succursale italiana e nella quale i nostri connazionali fanno davvero di tutto, a ogni livello. A New York, invece, ho sempre avuto l’impressione che le due attività in cui si concentra il maggior numero di italiani siano la moda e la ristorazione”.