“Dovunque sono andato nel mondo ho visto che c’era bisogno di un poco di Napoli” scriveva Luciano De Crescenzo. Io il mio pezzo di Napoli l’ho trovato a più di undicimila chilometri di distanza. Ebbene sì, sono una napoletana trapiantata a Buenos Aires.
L’Argentina non è stata una scelta premeditata, non mi sono messa con il mappamondo in mano a cercare una via di fuga, io volevo solo fare un’esperienza diversa prima di concludere il mio percorso di studi universitari. Il mio obiettivo era riprendere lo spagnolo, lingua che già conoscevo perché avevo vissuto in Spagna durante l’Erasmus. Così, ho colto al volo l’occasione che mi si è presentata di fare uno stage alla Camera di Commercio italiana a Buenos Aires.
Non ho scelto di trasferirmi qui, ma dopo averci vissuto, ho deciso di rimanere.
Prolungando lo stage di tre mesi in tre mesi ormai era passato quasi un anno e io non avevo la minima intenzione di rimettere piede in Italia. Mi sentivo già a casa. Sentivo che partendo avrei rinunciato a qualcosa di nuovo e di bello e il tempo mi ha dato ragione.
Vivere da italiana a Buenos Aires: stagioni invertite e un po’ di nostalgia
Per non rientrare ho cambiato lavoro, mi sono iscritta a un master e mi sono creata un bellissimo gruppo di amici provenienti da tutto il mondo. Ormai mi ero costruita una quotidianità alla quale non ero disposta a rinunciare a breve termine, certo non mi sarei aspettata che potesse durare per sempre.
Quando devi partire per tre mesi non ti fai tante domande, ma quando ti rendi conto che quella decisione ti sta cambiando la vita, devi iniziare a fare i conti con il fatto che ti trovi letteralmente dall’altro lato del mondo rispetto all’Italia e che quando la mancanza delle persone e delle abitudini a te care si fa sentire, non puoi prendere il primo volo e nel giro di due ore essere a casa.
Ci sono cinque ore di differenza di fuso orario, o quattro, dipendendo dall’ora legale, e le stagioni sono invertite. Ferragosto con il piumino e Natale sulla spiaggia. Compleanni mancati. Ricordi persi per sempre. È il prezzo da pagare per vivere fuori.
Vivo a Buenos Aires dal 2011 e la lista di cose che mi sono persa di anno in anno si allarga sempre di più, ma nonostante le difficoltà non ho mai considerato l’idea di tornare e l’ho proprio abbandonata del tutto, almeno per ora, da quando ho conosciuto l’uomo che qualche mese fa è diventato mio marito.
Argentina: l’allegria e l’arte di arrangiarsi
L’energia, la frenesia, i colori, il traffico, il modo di fare della gente. È assurdo come si possa essere così lontani eppure sentirsi a casa. Il popolo argentino è allegro, nonostante un passato recente macchiato dal sangue della dittatura. L’arte di arrangiarsi di questa gente è il motore di un Paese dall’economia traballante. Imparano a fare qualcosa, mettono due pesos da parte, iniziano a vendersi come i più grandi esperti in materia e sono subito imprenditori. E se arriva un’altra crisi che sarà mai? Non iniziano a lamentarsi come se non ci fosse un domani, stringono la corda e si sanno accontentare.
Quel che resta della terra delle opportunità post guerra è oggi un paese pieno di contraddizioni. Più di quaranta milioni di abitanti di cui la maggior parte si concentra nella capitale. Esiste un famoso detto popolare argentino che dice che “Dios está en todos lados pero atiende en Buenos Aires” che tradotto significa: “Dio è ovunque però riceve solo a Buenos Aires”.
Il cuore pulsante dell’Argentina: Buenos Aires
Buenos Aires è la capitale indiscussa del Paese, il suo cuore vibrante.
Cammini per le strade della città nella zona di Recoleta e respiri l’aria della Belle Époque francese, un giro per le banchine di Puerto Madero e le sue enormi torri e vieni catapultato in una Miami sudamericana, una passeggiata nello storico quartiere di San Telmo tra le bancarelle di antiquariato e fai un tuffo indietro di cinquant’anni, sulle note di un vecchio tango.
Buenos Aires è una città viva, non si ferma mai, ci sono sempre mostre, esposizioni, eventi di ogni tipo, attività sportive.
C’è sempre qualcosa da fare e c’è sempre una rete Wi-Fi aperta a cui collegarsi, persino quando viaggi in metropolitana. Non ti devi disperare per cercare la farmacia di turno e se non hai voglia di uscire di casa, ci sono un sacco di app con cui ordinare da mangiare. Qui qualsiasi attività commerciale che si rispetti ha il servizio d’invio a domicilio. Il ritmo della vita è a portata di mano, per chiunque.
Le origini italiane degli argentini: los Tanos
Gli argentini si dividono principalmente in due grandi gruppi etnici, se così vogliamo definirli: los Tanos y los Gallegos. Ci sono anche discendenti di tedeschi, francesi e piccole minoranze di altri paesi europei, ma è praticamente impossibile che in una famiglia argentina non ci sia almeno un trisavolo italiano o spagnolo. La parola Tanos è un’abbreviazione della parola Napolitanos, come se tutti gli italiani fossero napoletani e gli spagnoli tutti della Galizia…
In Argentina la parola “napolitana” ha anche altri significati. Il più conosciuto è la milanesa alla napolitana che sarebbe la nostra comunemente nota cotoletta, che qui viene ricoperta con salsa di pomodoro e una fetta di formaggio (che loro si ostinano a chiamare mozzarella, ma il tema mozzarella, per me che sono napoletana veramente, è sacro, e merita un post a sé).
Temi obbligati: Maradona e la pizza
Per gli argentini essere Tanos è un gran motivo di orgoglio, si sentono italiani sul serio anche se magari in Italia non ci sono mai stati e parlano solo qualche parola di dialetto, reminiscenza d’infanzia di quando ascoltavano litigare in casa i nonni. Non appena si rendono conto che per il tuo accento “strano” non sei uno di loro, si sentono in dovere di condividere con te le loro origini. Immediatamente ti recitano a memoria tutto l’albero genealogico della famiglia, come se con la nazionalità italiana ci venisse data in omaggio la Lonely Planet e che, solo per essere nati in Italia, dovessimo automaticamente conoscere ogni piccolo paesello sperduto dell’entroterra calabro. Ti etichettano come “la tana” non c’è verso di farti chiamare per nome.
Temi obbligati di conversazione: Maradona e la pizza. Il calcio è religione e d’altronde Messi e il Papa sono argentini e guai a chi glieli tocca. Testardi e orgogliosi, divertenti e scanzonati, sono davvero molte le cose che hanno in comune con noi italiani.
Foto: Stefano Sacchetto, tutti i diritti sono riservati