San Paolo è una metropoli con 12 milioni di abitanti che tutti i sudamericani considerano la “loro New York”, per i suoi grattacieli, il grande parco Ibirapuera e per la concentrazione di banche, studi di avvocati e grandi aziende. È una città dove si fa business, niente spiaggia, niente surf, niente tanga e infradito, ma moltissima moda e tacchi alti. Un po’ come Milano, San Paolo non lascia nessuno indifferente: o la ami, o la detesti.
Prima a Rio de Janeiro poi a San Paolo. Le difficoltà del portoghese
Io sono in Brasile per lavoro. Sono laureata in Ingegneria e ho sempre amato viaggiare, parlo molto bene in inglese e, dopo qualche anno di lavoro in Italia, ho avuto l’opportunità di entrare far parte di un team internazionale che si occupava di Sviluppo Business in paesi emergenti. Il nostro settore erano le lotterie e i giochi e per tanti anni ho viaggiato tra Romania, Turchia, Indonesia, Vietnam, Russia e molti altri paesi fino ad approdare in Brasile. Abito a San Paolo da poco più di un mese, dopo due anni trascorsi a Rio de Janeiro e una vita intera tra Saronno e Milano.
Sono arrivata a Rio non sapendo praticamente nemmeno una parola in portoghese, ma avendo una buona predisposizione ad imparare le lingue e conoscendo un po’ di francese e spagnolo speravo di cavarmela. In effetti, me la sono cavata, ma ho cominciato dal primo giorno a fare lezioni private e dopo circa quattro mesi avevo raggiunto un livello discreto, riuscivo a lavorare in Portoghese, anche se avevo sempre il traduttore aperto sul PC. La lingua portoghese è molto difficile, ha una grammatica complessa, come l’italiano, moltissime forme verbali e non ci sono molte scorciatoie: o la impari bene o non puoi lavorare decentemente in lingua. Oltretutto, l’inglese non è molto diffuso, soprattutto a Rio.
La mia prima volta a San Paolo
Dicevo che San Paolo non ha vie di mezzo. Per fortuna, dato che sono qui per lavoro e non per scelta, a me la città è sempre piaciuta, fin dalla prima volta che ci sono capitata una decina di anni fa. All’epoca era il mio primo viaggio in Sud America, e per dirla tutta non ero nemmeno mai stata in un paese “emergente”. Ricordo come fosse oggi di essere atterrata all’ora del tramonto e di aver passato un tempo lunghissimo in taxi nel traffico. Ad ogni portone, ad ogni ponte c’era un homeless. La quantità di persone stese a dormire in strada era impressionante.
E poi, arrivata in albergo, un universo parallelo: uno dei più begli alberghi in cui io fossi mai stata, in un quartiere stupendo, con ristoranti eccellenti, caffè eleganti, negozi delle firme della moda internazionale. Quella sera invece della cena optammo per un cocktail sulla terrazza dell’Hotel Unique, un albergo incredibile a forma di mezzaluna con una vista favolosa dalla terrazza. Ricordo che rimasi impressionata dalla quantità di luci e grattacieli e dall’eleganza e, soprattutto dalla bellezza, delle persone al bar.
In qual viaggio avevamo una agenda fittissima di riunioni, e giravamo in taxi da un palazzo all’altro, con ascensori modernissimi, sale riunioni scintillanti con enormi vetrate, i bagni più accessoriati che io avessi mai visto.
Ma nei viaggi in taxi da una riunione all’altra emergeva l’altro universo. Con la luce si poteva vedere che i senzatetto avevano costruito delle sorte di appartamenti sotto i ponti, con poltrone e divani sfondati, tende da campeggio, carrelli della spesa. L’idea che davano era diversa da quella dei senza tetto milanesi, quelli di San Paolo si erano costruiti delle vere e proprie case senza mura.
Il massimo del contrasto lo percepì nel fine settimana, che dovetti trascorrere lì dato che il lavoro non era finito: passai il sabato a Jardins, il quartiere dell’albergo, a fare shopping (all’epoca il cambio era vantaggiosissimo, ancora meglio di adesso, per chi veniva dal mondo euro) e a guardare riviste di moda in un bistrot.
La domenica un collega locale ci portò al Mercado Municipal, che è considerato un’attrazione turistica e a fare un giro in centro, poi a pranzo in un bar dove suonavano samba. Ci avvisò di usare vestiti che non dessero nell’occhio, e ovviamente niente gioielli. Ciò nonostante, restai paralizzata in macchina a guardare fuori per qualche secondo prima di trovare il coraggio di scendere dall’auto nel mezzo di “craccolandia”, il quartiere dei drogati di crack e dei bambini che sniffano colla. Quello che per me era un abbigliamento semplice, jeans e polo, mi sembrava così appariscente in quel pezzetto di mondo dove nessuno aveva addosso più di un paio di shorts e infradito distrutte. Ricordo che tutti stavano bevendo una brodaglia da una enorme tanica blu e l’odore di urina era fortissimo.
San Paolo si reinventa sempre, ma ti obbliga ad abituarti alla povertà.
Sono tornata sabato in quel quartiere, questa volta con i miei genitori che sono venuti a trovarci e con la mia bimba di un anno e questa volta nessuno shock: certamente sono cambiata io, ed è cambiato il mio modo di guardare le cose, è triste da ammettere, ma ci si abitua a vedere la povertà dal vetro della propria auto.
Sono altrettanto sicura che sia cambiata anche San Paolo, e questo è parte del mio amore per la città: una città che si reinventa, ricostruisce, un quartiere nuovo di qui, due grattacieli di là, senza mai restare uguale ma senza perdere la sua identità, più civile delle nostre città, in certe zone, e più selvaggia del Far West in altre.
Nei quartieri eleganti non ci sono cartacce né scritte sui muri, chi butta la sigaretta a terra viene multato, tutti hanno il cane ma raccolgono i suoi bisogni, i parchi pubblici sono pulitissimi, le scuole e gli ospedali sono tra i migliori al mondo. Ma questa parte di città è per pochi. Per i più poveri, o come dicono qui, “per chi ha basso potere di acquisto”, San Paolo non è quella dei quartieri ricchi, magari la frequentano per 8 ore al giorno lavorando come domestiche o portieri, ma non possono permettersi di comprare un caffè o un salgadinho (uno snack salato), perché il loro stipendio è un ventesimo di quello del loro datore di lavoro e il costo della vita dei quartieri eleganti è altissimo.
Il costo della vita a San Paolo: un bilancio caro per le famiglie
Per darvi un’idea del costo della vita a San Paolo partiamo dal prezzo degli alloggi alloggi: gli appartamenti nei quartieri chic sono molto grandi (dai 180 mq in su), la maggior parte si trova in palazzi con piscina e palestra, ovviamente portieri armati 24 ore al giorno, e difficilmente si affittano per meno di 3.500 euro al mese. È logico che ci siano expat che decidono di spendere meno stando in quartieri più pericolosi, magari rinunciando ad avere il portiere 24 ore, persone che per 70 mq pagano circa 1.000 euro di affitto, che comunque non è poco. Di solito, però, chi ha con sé la famiglia non vuole correre rischi…
Anche uscire non è economico. Una margherita in pizzeria costa circa 12 euro, ma se la si ordina a casa il prezzo aumenta molto. Per due pizze (che qui fanno buonissime) consegnate a casa ho speso 45 euro! D’altra parte si può pranzare con meno di 5 euro mangiando il “piatto combinato” che offrono quasi tutti i bar popolari: riso e fagioli, uovo fritto oppure petto di pollo oppure bistecca e insalata con una bibita.
Il costo delle auto di importazione è il doppio che in Italia, come tutti i beni importati, gli asili nido per quattro ore chiedono dai 500 ai 2.000 euro, oltre ai pannolini e al cibo. Una empregada (domestica) o una babá (bambinaia) che lavorano 44 ore a settimana guadagnano circa 420 euro netti più il costo dei mezzi di trasporto usati, costandone quasi 600 al datore di lavoro, che deve pagare le tasse, mentre lo stipendio minimo per legge è meno di 300 euro al mese. Una buona assicurazione sanitaria costa quasi 600 euro al mese a persona, quindi il bilancio di una famiglia di 4 persone a San Paolo è un bilancio decisamente caro.
Il mio quartiere nel verde e la vita blindata di San Paolo
Abito in un quartiere che fino a 10 anni fa non esisteva, in mezzo a un bosco grandissimo e a pochi minuti di macchina dalla zona della movida e del business, eppure dentro il mio condominio quasi non sembra di essere in città, se non per i grattacieli all’orizzonte.
Dalle finestre vedo solo le altre torri di 25 piani che compongono il condominio e il bosco. Nei prati, curatissimi tanto che sembrano un campo da golf, girano liberi pavoni, galline di Angola, gatti, anatre, cigni… Il condominio li cura, li nutre e loro sembrano amare i bambini che li osservano incantati.
Qui dentro i bimbi escono da soli la sera a passeggio col cane, perché è un posto molto sicuro. Peccato che uscire a piedi fuori dal condominio sia altamente sconsigliato, e chi può ha la macchina blindata perché a San Paolo è difficile percorrere un chilometro in auto senza passare in mezzo a una favela, gli assalti armati sono frequentissimi, nelle favelas e fuori.
Così ci si abitua al fatto che la pizza non te la consegnano in casa, ma la lasciano in portineria, in modo da non rischiare che un uomo armato ti entri in casa, allo stesso modo si impara che si può andare a cena in ristoranti elegantissimi, ma preferibilmente dentro ai centri commerciali dove è più sicuro, che si fa benzina solo di giorno e dove c’è gente, niente posti isolati. Una vita blindata. Ma come dicevo, San Paolo non ha vie di mezzo: o si ama o si odia.