Vivere nella favela di Rocinha a Rio de Janeiro. La storia di Barbara Olivi
Benedetta Benassi

Benedetta Benassi

Cremonese di nascita e milanese di adozione, amo da sempre studiare le lingue straniere, viaggiare e conoscere nuove culture. Laureata in traduzione, specializzata in comunicazione, dopo anni di lavoro nel settore delle Pubbliche relazioni, nel 2016 mi sono trasferita in Brasile, a Rio de Janeiro, con mio marito e i miei due figli. A Rio ho collaborato con molte ONG e presieduto l'International Club di Rio (ovvero il club degli expat). a gennaio 2020 mi sono trasferita ad Hong Kong e da qui scrivo le mie corrispondenze. Amo leggere, scrivere, e a Rio ho imasrato a ballare la samba!

Vivere nella favela non è certo un’esperienza per tutti. Eppure, ci sono persone, come la protagonista di questa storia, disposte a lasciare ogni comodità per aiutare chi ha più bisogno.

Chi arriva a Rio de Janeiro per la prima volta resta sempre impressionato dalla vista delle favelas. Un ammasso di casette colorate senza tetti, senza intonaco, senza finestre né porte, che popolano la maggior parte delle zone collinari della città.

Possiamo dire che non esiste Rio senza favelas, perché queste zone, oltre a essere le più popolate, ormai rappresentano nel bene e nel male la parte più autentica della città brasiliana, che spesso genera i giovani talenti del calcio mondiale, della street art o della musica pop.

La favela più grande di Rio de Janeiro è Rocinha, situata nella zona sud della città. Rocinha è la più grande baraccopoli non solo del paese, ma addirittura del Brasile e di tutto il Sud America, con circa 200.000 abitanti.

vivere nella favelaLa vicinanza di quartieri eleganti, abitati da gente molto ricca, come Gavea e Sao Conrado, segna un profondo contrasto urbano nel paesaggio di Rio, spesso citato come il simbolo della disuguaglianza sociale in Brasile.

Come capita spesso, in queste comunità (che è il nome politically correct delle favelas) vi sono molte lotte tra gang di trafficanti di droga che rendono difficile la vita delle persone. Gli stessi abitanti di Rio, dunque, si avvicinano con molto timore e cautela a queste zone povere e disagiate.

Proprio in un quartiere così peculiare come Rocinha sono nate molte Onlus che hanno l’obiettivo di aiutare i bambini della favela, togliendoli dalla strada e fornendo loro un minimo di istruzione.

Vivere nella favela per aiutare i bambini. La scelta coraggiosa di Barbara Olivi

Frequentando l’International Club di Rio de Janeiro ho saputo dell’esistenza di una Onlus, Il sorriso dei miei bimbi, all’interno della favela di Rocinha, fondata e gestita da una nostra connazionale: Barbara Olivi.

Ho avuto subito il forte desiderio di conoscere questa realtà da vicino, così ho contattato Barbara per conoscerla e sapere qualcosa in più di lei e delle attività che svolge nella favela.

Originaria di Reggio Emilia, Barbara Olivi ha vissuto per diversi anni a Milano, dove ha lavorato nel settore immobiliare. Nel 1998, dopo la separazione dal marito, ha deciso di cambiare vita e trasferirsi a Rio. Dal 2001 ha scelto di vivere nella favela di Rocinha. Una testimonianza, la sua, davvero, straordinaria.

Barbara, come mai hai pensato di trasferirti proprio qui a Rio de Janeiro?

Per seguire il sogno che avevo da sempre: vivere in un paese tropicale. Ho avuto fortuna. Nel momento in cui prendi una decisione (e deve essere presa in modo repentino perché se ti fermi troppo a pensare magari cambi idea) subentra quella dose di fortuna che ti porta nel posto giusto al momento giusto. Sono arrivata a Rio de Janeiro grazie all’invito di una cara amica brasiliana che avevo conosciuto in Italia. Dovendo ripartire da capo almeno contavo su un’amicizia collaudata, insomma rincominciavo “da uno” e non proprio da zero; avevo una sola valigia in mano, un’amica, un materasso su cui dormire e tante opportunità da cogliere.

Cosa ti è piaciuto di più di questo paese?

La natura esuberante, la città seconda a nessun’altra in bellezza e magnificenza, l’oceano a portata di mano. Una vita sociale informale, la possibilità di sparire nella massa senza essere considerata per quello che hai, ma per quello che sei. E poi il sorriso dei suoi bimbi, che mi hanno rapito l’anima e ancora la tengono stretta stretta.

Mi racconti brevemente com’è nato il tuo progetto sociale ?

Appena giunta a Rio avevo parecchio tempo libero, che passavo osservando e ascoltando la gente. Camminavo molto, dopo il lavoro come guida turistica, e vedevo tanti, troppi bimbi da soli. Mi avvicinavo con molta cautela per non intimidirli e iniziavo a chiacchierare con loro, cercando di trasmettere una parte di affetto e rispetto, che nella maggioranza dei casi non ricevevano da nessuno. Dalle prime chiacchiere e merende offerte, nacque il desiderio di fare di più per loro, desiderio nel quale coinvolgevo anche i turisti che portavo in giro per Rio.

Nel 2001 decisi di vivere nella favela Rocinha, dove risiedo tuttora, per condividere il quotidiano con coloro che più amo. Arrivarono le prime donazioni brevi manu e la consapevolezza che per fare di più fosse necessaria una configurazione giuridica.

E così nel 2002 in Italia nacque sulla carta Il Sorriso dei miei bimbi e una associazione corrispondente in Brasile per ricevere i fondi raccolti in Italia. Attualmente abbiamo quattro strutture di proprietà dedicate ai bimbi della favela. E dopo oltre quindici anni siamo sempre appassionati e determinati a continuare con i nostri progetti educativi.

Con chi vivi a Rocinha? 

La mia famiglia è composta da Julione, mio marito, che ho conosciuto qui e sposato qualche anno fa, e Tom e Amarijo, i nostri gattini. Siamo circondati da personaggi grandiosi… anche se di piccole dimensioni: i bimbi di Rocinha.

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Barbara Olivi, che ha scelto di vivere nella favela di Rocinha per aiutare i bimbi della sua Onlus, in un momento della sua giornata.

Quali sono le maggiori difficoltà che affronti quotidianamente nello svolgimento del tuo progetto?

Trovare un punto d’incontro tra l’esperienza italica e la forma mentis locale non è affatto semplice. Noi non siamo né brasiliani, né poveri, né emarginati, eppure ci troviamo a vivere tutti i giorni qui… un equilibrio estremamente delicato, non facile e non sempre possibile. Nonostante la “leggerezza” che si attribuisce al Brasile, si tratta di un paese molto difficile, sicuramente non adatto a tutti.

Cosa ti piace e ti motiva di più del vivere nella favela di Rochinha?

L’inno alla vita. La sensazione che per quanto poco tu possa fare, per qualcuno rappresenti un esempio positivo, un punto di riferimento. Sapere che esiste qualcuno che ti ama e ti accoglie può salvare la vita nel momento del bisogno, in ambienti come quello della favela, dove troppo spesso gli errori si pagano con la morte.

Quante persone collaborano con te? 

La nostra associazione ha un organico direttivo, un gruppo di volontari, e la segreteria operativa in Italia. In Rocinha, invece, lavoriamo in sedici full time, circa altrettanti part time e tanti bravi volontari di tutte le nazioni che si alternano qui a Rio.

Come vi mantenete voi operatori sociali nelle favelas?

Noi lavoratori de “Il Sorriso” riceviamo un rimborso spese da parte della nostra associazione e tutti siamo coinvolti in attività legate al turismo. Siamo abilitati al ruolo come guide turistiche, ma veniamo anche contrattati da agenzie per accompagnare i turisti nei tour più classici di Rio (il Corcovado, il Pan di zucchero o il centro città).

Raccontami una tua giornata tipo.

Non esiste una giornata tipo, perché qui gli imprevisti sono la prassi ed è molto difficile che una giornata si sviluppi secondo quanto programmato. È necessario avere molta tolleranza e flessibilità. Le attività educative invece seguono un programma quotidiano con orari prefissati.

L’esperienza più bella o la soddisfazione più grande che hai provato da quando hai scelto di vivere nella favela?

La soddisfazione la assaporo tutti i giorni nell’accogliere bimbi e giovani ne nostri progetti educativi, chiacchierare con loro di sogni, successi o delusioni, vederli crescere e diventare adulti rispettabili e con valori. Di aneddoti ne avrei a decine: il messaggio di una bimba che ho aiutato, oggi già donna, che mi ha scritto su WhatsApp quanto mi vuole bene; i ragazzi ormai adulti che chiedono l’aiuto di mio marito Julio per presentarsi al servizio militare…Tante piccole gocce di felicità.

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Alcuni bambini aiutati dalla Onlus Il sorriso dei miei bimbi di Barbara Olivi si preparano al carnevale di Rio

Qual è l’esperienza più drammatica che ti è toccato vivere nella favela?

Ogni volta che affronti l’angoscia di un bimbo, l’esperienza è straziante. Trovo ancora incomprensibile il poco valore che viene attribuito alla vita in questo paese, quando invece nella mia cultura ogni singolo individuo è sacro. È difficile convivere con questa noncuranza. Ho visto un giovane (era un narcotrafficante) morire colpito dal proiettile di una testa di cuoio. Ho colto i suoi ultimi momenti di vita ed è stata una situazione che non dimenticherò mai. Pochi metri più in là, la sua mamma stava già entrando in un taxi per precedere il corpo del figlio in ospedale e, pur nell’angoscia del momento, ha avuto la forza di alzare lo sguardo per salutarmi.

Vivi in un contesto disagiato in cui non manca la violenza. Non ti capita mai di avere paura? 

Non ho mai avuto paura per me stessa, ma troppo spesso per i bimbi che affrontano situazioni di pericolo senza la protezione di un genitore. La violenza maggiore che abbiamo subito in questi anni ci è stata fatta da un politico che ci ha ingiunto di consegnargli le chiavi dei nostri progetti sociali: gli sarebbero serviti nella campagna politica per elezione a deputato federale. La scelta era difficile: la consegna delle chiavi o la disintegrazione fisica. Inizialmente le sue minacce mi hanno causato un collasso nervoso, poi la reazione: abbiamo fatto causa a chi ci stava minacciando. Causa vinta e politico morto, falciato da un infarto a 35 anni!

Ogni quanto tempo torni in Italia e come vivi il rientro in una società completamente differente come la nostra?

Torno in Italia solo una volta all’anno per stare con i miei genitori. Tornare in Italia significa per me il piacere di ritrovare la buona tavola, l’arte e la cultura italiana. Ma casa, per me, ormai è qui nella comunità di Rocinha, dove ho i miei affetti e tutto ciò che mi rende davvero felice.

Le Olimpiadi hanno cambiato qualcosa per la gente delle favelas di Rio?

Ci sono state fasi alterne: inizialmente molta felicità e positività per i tutti cantieri pre-olimpiadi che hanno creato migliaia di posti di lavoro per la gente proveniente dalle favelas. Il Brasile e Rio in quel periodo erano al centro dell’attenzione mondiale. C’è stato un momento di magica aspettativa, spazzato via dalla crudele realtà del post-olimpiadi: il fallimento economico dello stato di Rio e della municipalità di Rio de Janeiro. Corruzione astronomica, crisi economica, disoccupazione, debito pubblico, troppe opere non terminate, il mancato pagamento degli stipendi statali, le università paralizzate per la mancanza di fondi, cosi come gli ospedali.

La gente di Rio come vive il rapporto con gli abitanti delle favelas? 

Come il rapporto tra due fratelli che non si amano e si guardano con circospezione e preconcetto. Eppure, uno ha bisogno dell’altro, sebbene siano separati da secoli di abusi e di sofferenze, di sovranità sprezzante e di annichilimento. Ma non solo: la grande disuguaglianza tra le due parti è data soprattutto dal mancato riconoscimento da parte dello stato del diritto alla salute e all’educazione della gente che vive nelle favelas. Per questo sono necessarie associazioni come la nostra, qui a Rio. Crediamo fermamente che l’educazione cambi la vita. E la società.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro nella comunità di Rocinha?

Continuare a vivere nella favela, ad amare, incentivare, educare e abbracciare quanti più bimbi possibile. Se trovassi le risorse economiche potrei sviluppare tanti altri progetti che ho già in mente. Nel prossimo ventennio vorrei chiudere in bellezza con una ludoteca per bimbi e anziani, be’ devo pur preparare il terreno per la mia vecchiaia…

Cosa fare per aiutare la Rocinha e “Il sorriso dei miei bimbi”

Barbara Olivi vuol far sapere a tutti i suoi connazionali che se qualcuno sta programmando un viaggio a  Rio de Janeiro e ha voglia e tempo per conoscere da vicino la favela di Rocinha, i suoi problemi e la sua gente, può scriverle a info@ilsorrisodeimieibimbi.org per ricevere informazioni su visite di turismo responsabile e per realizzare donazioni a favore dei suoi bimbi. Per aiutare Barbara Olivi e la sua Onlus è possibile anche dedicarle la firma per il 5×1000 nella dichiarazione dei redditi in Italia (Il sorriso dei miei bimbi Onlus – codice fiscale 91106660359)

Rio de Janeiro è veramente una Cidade Maravilhosa e merita di essere conosciuta anche negli aspetti più difficili, magari anche per dare una mano a chi, come Barbara Olivi, ha fatto la coraggiosa scelta di vivere nella favela.

 

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