La vita in Giappone ti insegna a vedere il “mondo piccolo”, i dettagli di ogni cosa.
È Francesca Scotti, affermata scrittrice milanese, da dieci anni residente nel Paese del Sol Levante, a spiegare quanto la cultura nipponica riesca a penetrare nell’esistenza di chi lo sceglie come casa. Una scelta che l’autrice trentaseienne, laureata in Giurisprudenza e diplomata al conservatorio, ha compiuto dopo essersi innamorata del Giappone durante una vacanza:
Benché io sia figlia degli anni ottanta, non sono cresciuta con la passione dei manga o dei fumetti giapponesi. La prima volta mi ci sono trovata per caso grazie all’invito di un’amica, ma in pochi giorni ho “sentito” che il Giappone, sebbene nella distanza, mi somigliava. Dopo quel primo viaggio sono tornata ogni anno, fino a trasferirmi lì nel 2011.
Francesca Scotti, dopo un’esperienza di un anno e mezzo a Kyoto, oggi abita a Nagoya con il marito, professore universitario. Sebbene i suoi impegni di scrittrice la obblighino spesso a lunghi soggiorni in Italia, dove in questo periodo sta promuovendo la sua ultima fatica letteraria, il romanzo Ellissi, pubblicato da Bompiani, il legame con la sua vita in Giappone resta indissolubile:
Giorgio ed io ci siamo sposati in Giappone, con il rito civile nel comune di Tokio. Un gesto simbolico, un vezzo per ribadire il forte legame che ci lega a questo paese.
La vita in Giappone: le difficoltà della lingua
La vita in Giappone per Francesca Scotti è una costante e affascinante scoperta, complicata tuttavia dalla lingua, che rappresenta una barriera non indifferente:
Il giapponese è un idioma che ti sfugge continuamente e ti obbliga a uno studio costante. Oggi, dopo tanti anni, sono in grado di comunicare, ma il non riuscire a esprimere le emozioni, le sfumature del mio pensiero, mi frustra un po’. Il fatto di essere una scrittrice mi fa sentire in modo più marcato questa mancanza.
Da donna di cultura quale è, Francesca Scotti non esita ad ammettere che l’ostacolo linguistico limita per alcuni aspetti anche la fruibilità della vita in Giappone, specie dal punto culturale. Se le si domanda che cosa le manca di più del nostro Paese, infatti, non ha esitazioni:
Mi manca Milano, ma soprattutto mi manca la sua dimensione europea. Non sento la mancanza del nostro mare, del sole o dell'”Italia calda”. Mi manca l’idea di Milano in cui ci sono tante cose da fare, non perché in Giappone non ci siano, anzi, ma perché per me a Milano tutto è più facile. Non mi manca la terra, le “radici”, mi mancano il teatro, l’arte, i concerti, una cultura condivisibile anche a livello sociale.
Il cibo giapponese
Nonostante le difficoltà, Francesca Scotti riconosce che le differenze linguistiche e culturali sono state anche un grande stimolo per la sua produzione letteraria.
Dopo il primo libro, che riflette la fase romantica e di “innamoramento” nei confronti della vita in Giappone (L’origine della distanza, edito da Terre di mezzo), ha fatto seguito The sushi game (Terre di mezzo), una storia sociale piuttosto irriverente del cibo giapponese, che con tono scherzoso ne racconta gli aspetti più terribili, almeno ai nostri occhi.
Il cibo è il primo aspetto non mediato della vita in Giappone che, come straniera, ho dovuto assumere. L’impatto con il cibo a volte è difficile perché non capisci nemmeno quello che hai nel piatto.
I giapponesi amano le consistenze vischiose o filamentose, iniziano la giornata mangiando pesce e i loro sapori possono essere estremi. Ma quando riesci a “rilassarti”, il cibo diventa un primo linguaggio da cui partire per comunicare: non sai leggere o scrivere ma grazie al cibo puoi avere una prima conversazione, uno scambio.
Tra gli ingredienti della cucina italiana dei quali la scrittrice sente la mancanza, la frutta occupa senz’altro il primo posto:
La frutta in Giappone è costosissima e non è un cliché. Se al supermercato compri due cestini di fragole la cassiera si stupisce e ti fa notare che ne hai presi due, per essere sicura, visto che il prezzo si aggira sui 12 euro l’uno. Meloni e angurie possono costare 40 euro o più al pezzo.
Ma il prezzo non è l’unica stranezza. Spiega, divertita, la scrittrice:
Ricordo che i primi tempi, quando invitavamo qualcuno a cena, gli ospiti arrivavano con una scatola infiocchettata, simili a quelle dei nostri cioccolatini, solo che dentro c’era un grappolo d’uva, oppure tre pesche! Io, sorpresissima, mi domandavo che idea avessero di me, tanto da farmi un regalo del genere. Poi, frequentando i supermercati, ho capito che un grappolo d’uva poteva costare più di venti euro…
Curiosità e abitudini del vivere quotidiano in Giappone
Anche se completamente affascinata dal Giappone, Francesca Scotti non fatica ad indicare le peculiarità del vivere quotidiano, alcune sgradite, altre molto piacevoli, che possono risultare curiose per noi italiani.
So che sembra una sciocchezza, ma i detersivi locali non profumano perciò, dopo averli usati, fatico a credere di aver pulito. E poi le lavatrici qui lavano solo a freddo… Nelle case la camera in cui dormiamo non ha il letto bensì il tatami, che la mattina si ritira e permette così di utilizzare lo spazio per attività diverse. Una delle cose essenziali della vita in Giappone è la vasca da bagno. Quasi tutte le case ne hanno una in cui l’acqua viene costantemente riscaldata e che, più che per lavarsi, serve, la sera, per il rito del relax. Un vero piacere!
La vita sociale: facile “fare”, difficile condividere
Per Francesca Scotti fare vita sociale in Giappone non rappresenta un problema, benché come spesso accade, ci siano differenze notevoli tra le varie città. A Kyoto, località più turistica e con una popolazione che la scrittrice definisce “sciccosa”, perché si ritiene detentrice della vera cultura del Giappone, i rapporti che ha instaurato sono stati prevalentemente con italiani o con occidentali, spesso di passaggio. A Nagoya, città della Toyota gemellata con Torino, invece, l’esperienza è risultata più gratificante:
Nagoya è una città industriale, ma ha un bel clima, è sull’oceano e i suoi cittadini sono molto aperti ed ospitali. Qui siamo molto integrati, frequentiamo prevalentemente giapponesi. Sotto casa, per esempio, abbiamo un izakaya, l’equivalente di un nostro pub, che quando chiude, il lunedì, organizza una serata in cui ciascuno porta qualcosa e noi siamo gli unici occidentali ad essere sempre invitati. Io ho cucinato carbonare, risotti…
Benché molte delle amicizie di Francesca Scotti siano giapponesi, la scrittrice non nasconde che le differenze culturali qualche volta possano risultare molto evidenti:
Con i giapponesi è molto facile “fare”. Se vuoi organizzare un weekend insieme in montagna, oppure andare alle terme o a fare un pic-nic non ci sono mai problemi, ma se una mattina ti alzi di umore storto e hai voglia di parlare con qualcuno… be’ non sai come fare. E non è perché a me manchi il linguaggio, è che nei giapponesi manca l’attitudine ad esprimere gli stati d’animo.
Tra le grandi differenze culturali a cui un’italiana, senza dubbio, fatica ad adattarsi è quella che vede la “famiglia lavorativa” prevalere su quella privata.
Se mio marito ha la cena dell’Università, la festa di facoltà o qualsiasi altro evento legato al suo ambito lavorativo, è escluso che io possa partecipare. Ma non solo alla cena, anche al resto della serata. Se il gruppo va a bere qualcosa o al karaoke, io non posso aggregarmi. E di questi eventi ce ne sono diversi, hanno dei nomi specifici e sono delle tappe obbligate che fanno parte del lavoro stesso. All’inizio questo per me era molto difficile da accettare perché mi impediva di conoscere altre persone e mi costringeva a stare da sola. Poi ho capito che forzare è inutile e crea solo delle difficoltà.
Persino il karaoke per i giapponesi ha un significato che va al di là del puro svago. Racconta ancora Francesca Scotti:
Spesso in ambito professionale si va con colleghi e controparti al karaoke perché si ritiene che si è capaci di “umiliarsi”, nel senso di fare qualcosa di ironico e divertente davanti a loro, il legame sarà più forte anche sul lavoro.
A chi sogna un’esperienza di vita in Giappone la scrittrice consiglia di non esitare a provare, anche solo per un breve periodo, ma con la consapevolezza che, oltre alle difficoltà linguistiche e culturali, se ne aggiungerà una di tipo psicologico, a cui inizialmente non si pensa: si sarà sempre e comunque riconoscibili.