Raccontare la vita e la carriera di Edoardo Narduzzi significa prendere atto che il talento nel genere umano non è equamente distribuito.
Questo imprenditore romano (ma anche giornalista e scrittore), oggi residente a Londra, è infatti la testimonianza vivente che in una sola persona possono concentrarsi abilità e conoscenze spesso scarse in altri membri della specie.
Edoardo Narduzzi, 53 anni, ben quattro lauree e altrettante specializzazioni (London Business School, Harvard, Imperial College e Warwick), nasce come giornalista finanziario negli anni novanta per poi diventare uno degli imprenditori più competenti e in vista del nostro Paese in materia di innovazione tecnologica.
Nel 1995 lascia un’avviata carriera giornalistica per dedicarsi al nascente mondo di Internet e dell’information Tecnology. Inarrestabile, riempie il suo già vissuto curriculum di ruoli come consigliere e consulente per importanti società, ma è come imprenditore che dà il meglio di sé.
Edoardo Narduzzi, “imprenditore seriale”
Nei primi anni duemila Edoardo Narduzzi fonda varie società (Proxitalia Spa, EvaBeta Spa, NETikos) e nel 2004 co-fonda la sua realtà aziendale più grande, Techedge Spa. La società, dedicata alle soluzioni tecnologiche per le aziende, oggi dà lavoro a 1.300 persone, fattura 150 milioni di euro ed è presente in 12 paesi del mondo.
Ma l’”imprenditore seriale” Edoardo Narduzzi, non pago dei suoi molteplici successi, tra il 2009 e il 2012 fonda anche Mashfrog e Trust My Phone “gioiellini” iper -tecnologici che si rivolgono ai più svariati settori e contribuisce allo startup di Vetrya, da oltre un anno quotata all’AIM.
Scrivere resta una grande passione e, tra una startup e l’altra, Edoardo Narduzzi trova il tempo di pubblicare ben otto saggi tra i quali, con Massimo Gaggi, “La fine del ceto medio e la nascita della società low cost “ (Einaudi, 2006).
Le ultime sfide: le startup e il lancio dell’Ico a Malta
Spesso i giornalisti vengono accusati di raccontare il mondo senza “farlo”. Non è il caso di Edoardo Narduzzi. Una breve conversazione con lui è sufficiente per rendersi conto di essere in presenza, oltre che a uomo di cultura, a un’intelligenza fervida al servizio dell’innovazione. La classica persona che sta sempre “un passo avanti”. Non stupisce quindi che si sia trasferito a Londra nel dicembre 2016, subito dopo la Brexit, quando i cittadini europei meditavano di lasciare il Regno Unito e si chiedevano spaventati che cosa sarebbe accaduto.
Narduzzi, in Inghilterra, ha creato SelfieWealth, applicazione che unisce finanza e intelligenza artificiale. La Startup è un RoboAdvisor, ossia un consulente totalmente automatizzato, destinato a chi voglia gestire il proprio patrimonio senza l’intermediazione di private banker in carne ed ossa.
Il 16 ottobre a Malta il RoboAdvisor di Narduzzi, capace di usare la blockchain per fare previsioni anche sull’andamento dei mercati finanziari e delle criptovalute, vivrà il suo giorno di gloria poiché, per la prima volta, un Paese dell’Eurozona sarà sede di una Ico (Initial Coin Offering), una sorta di crowdfunding basato sulle criptovalute.
Per saperne di più sulle sue ultime startup e sulla sua carriera, abbiamo deciso di farcele raccontare direttamente dall’interessato.
Le nostre domande a Edoardo Narduzzi
Le opportunità che avevi immaginato prima di trasferirti si sono concretizzate a Londra?
Sì, si stanno realizzando. Abbiamo scelto Malta per dare il via alla nostra Ico perché volevamo operare in un Paese della Zona Euro ed era l’unico Paese disponibile. Nel resto d’Europa al momento non si può fare. L’autorizzazione per operare con un RoboAdvisor, infatti, la concede soltanto la Fca (Financial Conduct Autority), l’equivalente britannica della nostra Consob.
Quali sono le altre startup che stai seguendo?
3meD software, una società che ha una tecnologia proprietaria per ricostruire con elevatissima precisione immagini in 3D di organi molli affetti da tumore oggetto di trapianto e Bookiedom, una piattaforma basata sull’intelligenza artificiale capace di dare le migliore quote delle partite o eventi sportivi.
Hai lavorato per diversi anni come giornalista finanziario. Come mai hai deciso di cambiare per dedicarti al mondo imprenditoriale?
Perché avevo intuito che il giornalismo non offriva grandi aspettative di guadagno. Così, sebbene a 27 anni fossi già caporedattore della redazione romana di ItaliaOggi, con la nascita di Internet ho deciso di reinventarmi. E comunque non ho mai smesso del tutto di scrivere, visto che ancora oggi collaboro con varie testate.
L’esperienza come giornalista ti è servita in seguito?
Sì, molto. Il giornalismo, oltre a saper scrivere in modo chiaro e sintetico, ti insegna a metterti in relazione con gli altri, a leggere oltre all’apparenza, a interpretare il mondo in maniera un po’ meno banale. Come formazione per un aspirante imprenditore sono convinto che sia meglio fare il giornalista finanziario per qualche anno piuttosto che lavorare in una banca.
Quando il Regno Unito ha sancito la Brexit, molti imprenditori hanno valutato se lasciare Londra. Tu invece hai deciso di trasferirti lì nel dicembre del 2016 per avviare la tua startup. Perché questa scelta in controtendenza?
Credo che gli imprenditori veri debbano andare dove si aprono “finestre di far west”. È lì che ci sono le opportunità vere. Siccome mi sono perso, perché ero troppo giovane, il crollo dell’Unione Sovietica e tutte le occasioni che all’epoca si erano aperte nell’Europa dell’Est, ho pensato che la Brexit, sebbene in scala molto più piccola, rappresentasse una situazione di grande volatilità e confusione in un paese molto ordinato. Insomma, un’occasione irripetibile.
E Londra ha confermato le tue aspettative? Per i cittadini non inglesi è cambiato qualcosa fino ad ora?
La Brexit è ancora un grande punto interrogativo che genera dibattiti accesi sui media. Per ora non ci sono stati cambiamenti. Io ho potuto fare tutte le pratiche in modo normale: ho avuto il national security number, ho aperto il conto corrente, cambiato la patente, registrato la società, quasi tutto online e in modo veloce. Certo, la Brexit è una situazione complessa perché ha “spaccato il paese” e perché Londra vive una dimensione differente rispetto al resto dell’Inghilterra e del Regno Unito. Ad oggi non si vedono effetti concreti. Se si andasse a una “hard Brexit” senza accordo, io non credo ci sarebbero gravi conseguenze per gli europei, eccetto per quelli poco qualificati, che in due o tre anni potrebbero ritrovarsi in un mercato non facile.
Hai fondato e guidato numerose aziende. Quali sono le doti fondamentali per essere un buon imprenditore?
Prima di tutto serve la capacità di rischiare, di lanciarsi in cose che non hanno risultati sicuri, e poi essere consapevoli che un po’ di fortuna aiuta. Il successo non può sempre essere soltanto bravura e talento. Ma il fattore più importante è la capacità di immaginare l’azienda in tutti i suoi aspetti ancora prima di farla. L’analogia che uso spesso per spiegarmi è quella di immaginare la propria startup esattamente come Michelangelo immaginava la Cappella Sistina prima di dipingerla. Bisogna essere capaci di vederla in tutti i suoi aspetti, in ogni condizione di luce o da ogni angolazione. Se hai la lucidità e la capacità di immaginarla con un livello di dettaglio e di qualità elevata, cioè sai davvero quello a cui vai incontro, il successo d’impresa diventa la capacità di motivare le persone e l’”execution”, cioè una questione di organizzazione, anche commerciale, e di capacità di fare.
Quali sono le differenze più grandi tra il fare impresa in Italia e in UK?
Rispetto all’Inghilterra, in Italia un imprenditore per fare lo stesso livello di risultati in termini di dimensione aziendale, clienti e fatturato deve fare il triplo della fatica e impiegare molto più tempo. Il problema dell’Italia non è che non si può fare impresa, la mia esperienza lo dimostra, ma farla è molto più faticoso perché il mercato è più piccolo e farraginoso, sebbene qualcosa stia cambiando.
Trasferirsi a Londra ha implicato un cambio di vita non solo per te, ma anche per la tua famiglia. Come avete vissuto questo primo anno da expat?
La scelta di trasferirsi è stata pianificata per un anno e mezzo e poi ci siamo lanciati, non potevo più aspettare altrimenti finivo a fare impresa da pensionato… Mia figlia ha dodici anni ed è contentissima. Si è adattata subita alla nuova vita londinese. Mia moglie ed io abbiamo fatto un po’ più fatica, ma credo sia normale quando non sei è più giovanissimi. E comunque volevo mettermi alla prova, vedere se riuscivo ad affrontare con successo un mercato sconosciuto, dove non sai muoverti come a casa tua.
Le tue aziende si caratterizzano per l’elevato contenuto tecnologico. I RoboAdvisor ci proiettano già in un mondo futurista. Credi che a breve useremo tutti le criptovalute e andremo tutti in giro senza denaro contante?
Ho scritto pochi mesi fa su Milano Finanza che secondo me, in un futuro non troppo lontano, le stesse Banche Centrali emetteranno le criptovalute. Vivremo in un mondo in cui tutti avranno il proprio wallet digitale presso la Banca Centrale e lo stipendio verrà accreditato direttamente lì e da lì passeranno tante altre transazioni. Il contante sparirà e il ruolo delle banche sarà rivoluzionato. Naturalmente per arrivare a questo punto ci vorrà del tempo e ci saranno fasi intermedie. È un po’ come è accaduto per il postino. La mail è stata inventata 25 anni fa, oggi si scrivono molte meno lettere, ma il postino esiste ancora. Si tratta di processi di aggiustamento lunghi, ma che la moneta, prima o poi, diventi digitale è abbastanza scontato.
Con tante cose già realizzate, ti resta ancora qualche sogno?
Sì, se avrò ancora energie. Mi piacerebbe fare qualcosa di diverso, al di fuori della tecnologia. Ho già investito in un ristorante stellato, il Pipero Roma e ho in mente diversi progetti legati alla gastronomia. Credo che in futuro i ristoranti saranno sempre più legati all’entertainment e quando arriveranno la realtà aumentata, la realtà mista e il 3D, l’esperienza gastronomica cambierà radicalmente.