Il prossimo sei di marzo Leonardo Seminati, diciottenne di Torre Boldone in provincia di Bergamo, partirà per gli Stati Uniti. Lo attende una sfida importante: giocare da professionista con i Cincinnati Reds, la squadra della Major League di baseball americana con cui la scorsa estate ha firmato un contratto di sette anni. Un’impresa da record, tenuto conto che i giocatori di baseball italiani volati oltreoceano si contano sulle dita di una mano e che questo sport nel nostro Paese è ancora poco diffuso. Ma il giovane atleta lombardo, che fino allo scorso anno militava nelle file del Parma, ha addirittura potuto scegliere. Anche i Mets di New York, i Kansas City Royal e i Red Sox di Boston, infatti, si erano fatti avanti per ingaggiarlo. Il talento, quando c’è, fa gola a tutti.
Raggiungo telefonicamente Leonardo Seminati all’Accademia FIBS (Federazione italiana Baseball Softball) di Tirrenia (Pisa), centro di preparazione olimpica del Coni, dove i migliori giocatori possono allenarsi e portare avanti i loro studi. Il giovane talento del baseball è appena tornato da scuola, frequenta la quinta liceo sportivo e a giugno dovrà affrontare gli esami di maturità. Un impegno che lo spaventa un po’, visto che fra pochi giorni dovrà mettere i libri in valigia e studiare da solo a Cincinnati, Ohio.
Mentre risponde alle mie domande lo sento “spentolare” senza tregua in cucina. Vive da solo e ha imparato presto a organizzare la sua vita come un adulto: “Mi sto facendo da mangiare – dice – fra un’ora iniziano gli allenamenti e devo avere le forze per la palestra”.
E di forze, questo ragazzo alto 1.88 per 102 chili pare averne tante e non soltanto dal punto di vista fisico. La sua storia e le sue risposte la dicono lunga sul suo modo di affrontare l’esistenza.
Il baseball, una passione nata a sette anni
Cominciamo con la più classica delle domande: come è nata la tua passione per il baseball, uno sport poco praticato in Italia?
Io ho provato tanti sport, ancora oggi amo molto il nuoto, ma sin da piccolissimo mi piaceva lanciare palline ovunque. A sette anni e mezzo sono andato a visitare Liliput, la Fiera dello sport di Bergamo. Stavano cercando ragazzi di tutte le età per fare una squadra di baseball, io ero tra i più piccoli e ho voluto provare. Mi è piaciuto tantissimo. A dodici anni sono passato al Brescia, ho giocato il primo mondiale con la nazionale Under 12 e quindi mi hanno chiesto di giocare a Verona dove sono rimasto dai tredici ai quindici anni, giocando nel 2014 anche il mondiale Under 15 in Messico.
Da Bergamo a Verona ci sono poco meno di 120 chilometri. Per un ragazzino e per la sua famiglia andare avanti e indietro quattro volte alla settimana per anni non deve essere stato facile. In quel periodo hai mai pensato di mollare?
La verità è che se sono arrivato fino a qui lo devo prima di tutto ai miei genitori che mi hanno sempre sostenuto. Senza di loro non ce l’avrei mai fatta. Quando giocavo a Verona vivevo praticamente in macchina: un’ora e un quarto di viaggio in andata e altrettanto al ritorno. Tempo in cui mangiavo, studiavo, dormivo. In mezzo, due o tre ore di allenamento. Sì, qualche volta ho avuto momenti di difficoltà, forse ho anche pensato di lasciare, ma non sono mai riuscito a vedermi come un adolescente “normale” e mi è sempre bastato poco per ritrovare l’entusiasmo.
Se non avesse fatto il giocatore di baseball che cosa sarebbe diventato Leonardo Seminati da grande?
Credo un fisioterapista. Ma anche uno chef, perché mi piace molto cucinare. Se avessi un’altra vita a disposizione forse ci proverei, ma per adesso c’è solo il baseball.
Lo scorso settembre sei andato a conoscere quella che fra pochi giorni diventerà la tua nuova casa. Che impressione ti sei fatto dopo un mese e mezzo trascorso in Ohio con i Cincinnati Reds?
È un’avventura molto eccitante, ma credo che non sarà per niente facile, soprattutto perché dovrò riuscire a studiare. La scuola mi sta agevolando in tutti i modi, faremo anche delle lezioni online, ma la differenza di fuso orario non aiuta e sarà complicato preparare la maturità. Ma ce la devo fare, ho sempre pensato che lo studio è importante. Per questo quando ho firmato il contratto, lo scorso luglio, ho chiesto di poter terminare il liceo prima di trasferirmi definitivamente.
Cosa dicono i tuoi compagni di scuola e gli amici d’infanzia di questo tuo successo?
Purtroppo ho trovato tanta invidia. Per fortuna ci sono anche gli amici veri, quelli che mi sono sempre stati vicini e sono stati felici per me quando ho firmato il contratto.
In genere mi alzo verso le 6.45 e mi preparo per andare a scuola. Rientro alle 13.30, mi faccio da mangiare e verso le due e mezza comincio gli allenamenti, che durano fino alle sette o alle otto, dipende dal programma. Poi torno a casa, mi preparo la cena, studio e vado a letto.
Fai tu la spesa?
Sì, certo, in casa faccio tutto io.
Una vita molto disciplinata. Non ti pesa adesso che hai l’età in cui i ragazzi escono fino a tardi o vanno in discoteca?
Ogni tanto i miei amici me lo chiedono, ma io so che il giorno dopo devo giocare e non posso permettermelo. Se si hanno degli obbiettivi bisogna essere disposti a fare dei sacrifici. Certo, ogni tanto penso che se non avessi fatto queste scelte oggi sarei un adolescente come gli altri, potrei andare a scuola la mattina e avere i pomeriggi e le sere libere per uscire quando mi pare. Avrei tempo per me e non dovrei fare sempre tutto di corsa.
E il tempo per una ragazza?
Purtroppo le ragazze fanno sempre parte dei sacrifici di cui parlavo…
Testardaggine, passione e perseveranza, il ritratto di Leonardo Seminati
Leonardo, qual è il momento, il gesto o l’azione che preferisci quando giochi a baseball?
La battuta. Il suono che fa la palla quando esce dalla mazza è qualcosa che ti “prende dentro”. Bisogna sentirsi un tutt’uno con il gesto, che deve essere assolutamente fluido per colpire una palla che in quel momento ti appare grande come un’unghia. È la cosa più difficile ma anche la più emozionante.
E c’è qualcosa che ti piace meno?
In realtà del baseball mi piace tutto. Forse la difesa mi costa un po’ di più, ma mi diverto anche lì…
Un tuo difetto?
Sono un “testone”. E poi non sono mai soddisfatto di me. Anche quando ottengo ottimi risultati, vorrei aver fatto di più, non mi sento mai davvero contento.
E un tuo pregio?
(Resta a lungo in silenzio mentre la pietanza che sta cucinando sfrigola in padella…). Non so, mi mette in crisi questa domanda. Forse la perseveranza.
Hai ricevuto più di una proposta da squadre professionistiche americane. Che cosa ti ha portato a scegliere i Cincinnati Reds e come ti sei sentito in quei giorni?
Non ci dormivo la notte, passavo il tempo a confrontare le offerte per capire quale fosse la migliore per me. Alla fine ho scelto i Cincinnati Reds tenendo conto dell’offerta economica ma anche della città, del clima e delle persone che avevo conosciuto.
Come stai vivendo questi ultimi giorni prima di partire?
Sono agitatissimo! Non vedo l’ora di partire perché so che per me si chiude un ciclo e inizierà una nuova esperienza di vita importantissima. Ho tanta voglio di mettermi in gioco, di affrontare questa nuova sfida.
Come te la cavi con l’inglese?
È una lingua che mi è sempre piaciuta e non ho problemi. A scuola ho studiato anche spagnolo, che mi sarà utile perché nella squadra c’è una forte presenza di giocatori latino-americani, che sono fortissimi nel baseball.
Sei uscito di casa molto giovane, ma adesso invece di essere a poche ore di distanza vivrai a migliaia di chilometri. Ti spaventa questa lontananza?
Diciamo che questi anni in Accademia sono serviti a tutta la famiglia per fare le “prove generali”. Certo, adesso sarà diverso, ma io so che ho l’appoggio totale della mia famiglia. Loro sono sempre stati la mia fortuna.
Il tuo più grande sogno?
Il mio sogno è giocare ma soprattutto costruire una carriera solida e duratura in Major League.