Rifare il look ai brand famosi è il suo mestiere. E lo fa con grandi risultati, senza timore di apparire rivoluzionario. Dal 2012 il quarantaduenne varesino Mauro Porcini è Senior Vice President e Chief Design Officer di PepsiCo a New York. Le sue innovazioni all’interno del colosso mondiale del food & beverage hanno fatto di lui uno dei manager italiani più quotati del mondo nel settore del design. Basta ascoltarlo per pochi minuti per capire perché università e istituzioni lo chiamino per tenere speech nei loro congressi: carisma e dialettica brillante fanno di lui un oratore straordinario.
Intervistare una persona come Mauro Porcini significa restare in ascolto con le antenne perennemente alzate. Ogni sua frase nasconde una lezione di vita o di business, un suggerimento o una morale da cui trarre insegnamento. Come un fiume in piena il manager racconta la sua storia in cui emergono alcune costanti: la passione per l’arte e la cultura, l’incessante ricerca dell’innovazione, la curiosità, l’ottimismo e la determinazione come regole di condotta. Valori in parte ereditati dai genitori, citati spesso e con grande ammirazione nel corso dell’intervista:
Sono nato in una famiglia umile ma che metteva sempre al primo posto la cultura. I miei non davano particolare importanza al denaro. Anzi. Mia madre, cattolicissima, lo ha sempre visto come qualcosa che potesse traviare lo spirito. I valori che mi hanno trasmesso sono stati fondamentali nella mia vita, specie in una città come New York dove “perdersi” è facilissimo”.
Appassionato d’arte e letteratura e bravissimo nel disegno, da adolescente Mauro Porcini non ha le idee chiare su cosa vuole “fare da grande”, ma sa che vuole fare qualcosa di grande. Così, dopo il liceo scientifico, scopre che il Politecnico di Milano ha da poco inaugurato un corso di laurea in disegno industriale e, più per curiosità che per convinzione, si iscrive. Arriva primo al test di ingresso e gli bastano pochi mesi di frequenza per capire che quella è la sua strada.
Non è mai troppo tardi, anche a costo di lavare i piatti…
Mentre frequenta il Politecnico, Porcini si rende conto che l’inglese che non ha mai potuto studiare, perché a scuola era sempre stato inserito in classi di francese, è uno strumento di comunicazione essenziale. Il sospetto che sia troppo tardi per impararlo fa capolino nella mente del futuro manager, ma il suo innato ottimismo lo porta a provarci ugualmente e, a un anno dalla laurea, decide di andare a Dublino a studiare design in inglese:
I miei genitori non avevano i soldi per mandarmi a Dublino, perciò per mantenermi dovevo lavorare, unico tra i miei compagni di Erasmus. Però, visto che non sapevo l’inglese, non potevo fare il cameriere o altri lavori a contatto con il pubblico. Così ho dovuto lavare i piatti nella mensa dell’Università… Nella mia vita pur di raggiungere l’obiettivo ho fatto diversi sacrifici, ma oggi so di averli fatti con leggerezza, grazie alla mia mentalità positiva, che mi motiva ad ogni piccolo progresso. Alla fine ho imparato l’inglese, dimostrando che non è mai troppo tardi.
Due grandi mentori per imparare ad innovare
Dopo la laurea, ottenuta con una tesi sulle tecnologie indossabili, Mauro Porcini comincia a lavorare in Philips. È in questi anni che sviluppa due relazioni che saranno determinanti per la sua crescita personale e professionale: quella con Stefano Marzano, all’epoca capo del design mondiale di Philips e quella con Claudio Cecchetto.
Queste due persone hanno cambiato la mia vita. Marzano lo avevo conosciuto quando ero ancora uno studente, andavo a sentire le sue conferenze ogni volta che potevo, gli scrivevo lettere sui temi del design. Oggi che siamo amici mi rendo conto che ero stato quasi uno stalker e ci scherziamo su. Per questo quando qualche giovane mi contatta, se vedo che ha passione e che insiste, lo incontro volentieri.
Con Claudio Cecchetto, invece, il sodalizio nasce dallo spirito di iniziativa del giovane Porcini, attratto dalla grande capacità di innovazione di uno dei personaggi più eclettici della storia della musica e dello spettacolo italiani. Racconta il designer:
Un amico conosceva la segretaria di Cecchetto, così riuscii a fissare un incontro. Mi presentai con due amici designer con l’obiettivo di riuscire a fare qualcosa con lui. Cecchetto è sempre stato un visionario e da vero talent scout ci propose di creare una società per fare innovazione nel mondo del design. Un mese dopo firmavamo il contratto. Lavorammo insieme per tre anni, poi con la caduta Internet dei primi anni duemila, la società si smembrò e io decisi di creare una nuova impresa in Svizzera.
Proprio in quel momento Porcini riceve una chiamata da 3M che inizialmente non gli sembra particolarmente interessante. Ma gli basta mettere piede negli uffici della multinazionale per cambiare idea:
3M aveva una tecnologia tra le più avanzate al mondo e un numero enorme di brand in sconfinati settori. Era un’azienda incredibile, non potevo dire dire no. Cominciai a sognare di poter fare innovazione nel design della compagnia e diventare in 3M quel che Stefano Marzano era diventato in Philips. Avevo solo 27 anni, ero ingenuo e sognatore, ma senza sogni non si va da nessuna parte.
Da Milano a Minneapolis fino a New York
A Milano la carriera di Mauro Porcini in 3M avanza a ritmo costante fino al grande salto avvenuto nel 2010 con il trasferimento a Minneapolis, negli Stati Uniti. Racconta il protagonista:
Per cambiare la cultura di un’azienda è importante lavorare nel suo quartier generale. Dopo il trasferimento negli Stati Uniti tutto si è accelerato vertiginosamente e tra il 2010 e il 2012 ho ricevuto tante proposte di lavoro da altre compagnie.
Tra le tante offerte dei recruiter, due attirano l’attenzione dell’ormai ambito designer italiano: quella di Virgin e quella di PepsiCo. Sceglie quest’ultima e nel luglio del 2012 si trasferisce a New York, una città verso la quale non nasconde la sua ammirazione:
New York è incredibile, qui mi diverto tantissimo, c’è sempre qualcosa da fare o da vedere. Tutti soffriamo la “sindrome del missing out”, ci sono così tanti eventi tutte le sere che se non esci ti senti in colpa per esserti perso qualcosa. La mia vita privata e il mio lavoro sono sovrapposti, mi circondo di una grande comunità creativa che mi aiuta ad ispirarmi. E nel tempo libero vado nella mia casa negli Hamptons dove mi godo il mare, vado in barca o in bicicletta, leggo libri e gioco a calcio.
Guardare il mondo con gli occhi di un bambino
Una volta approdato in PepsiCo, la missione di Mauro Porcini non risulta affatto semplice. A capo di una divisione che conta 200 persone di quaranta diverse nazionalità, tra le prime sfide da affrontare c’è quella di riportare sotto un’unica identità visiva i numerosi loghi di Pepsi esistenti nel mondo, innovando radicalmente e tagliando i costi. Un obiettivo raggiunto con grande successo e di cui va particolarmente fiero. Ma come nasce l’ispirazione del designer? Porcini lo spiega così:
Gli innovatori hanno tutti le stesse caratteristiche: guardano il mondo con gli occhi di un bambino, sono curiosi, e grandi ascoltatori, osservano i dettagli e sanno meravigliarsi davanti a ogni cosa perché la guardano ogni volta da una prospettiva diversa. Tutto ti offre ispirazione se hai questo atteggiamento. Poi ci sono modi per amplificarla come leggere, viaggiare, navigare in Internet, parlare con la gente, fare networking. In Italia conosco grandi innovatori in svariati settori. Ne cito tre in particolare: Lorenzo Cherubini (Jovanotti, ndr), Fabio Volo e Fabio Novembre, uno dei più grandi designer italiani. Credo che sia importante circondarsi di persone così e fare piazza pulita di chi non ha un animo nobile.
L’italianità, un valore aggiunto se orientato al business
Secondo Mauro Porcini gli italiani hanno la grande dote di saper lavorare nelle “zone grigie” per affrontare quelli che vengono chiamati i wicked problem, problemi complessi tipici del mondo globalizzato, che richiedono non più un approccio iperspecializzato, come un tempo, bensì competenze multiple e una visione creativa capace di gestire il caos. Sottolinea Mauro Porcini:
In un contesto accelerato e globale come quello di oggi, dove le barriere all’entrata non esistono più perché i social media permettono a tutti di competere, è fondamentale capire il linguaggio dei consumatori e innovare continuamente. Essere italiani negli Stati Uniti è sinonimo di stile ed è utile, poi però bisogna “virare” verso un linguaggio di business. Se no, il prodotto non si vende.
Chiare fresche e dolci acque
Fedele alla sua passione per l’arte, Mauro Porcini in PepsiCo è promotore di diverse iniziative che vedono protagonisti artisti emergenti e cause sociali. Quella di cui va più orgoglioso è il lancio dell’acqua LIFEWTR, un’innovazione di branding che ha messo sugli scaffali dei supermercati bottiglie con etichette impreziosite dalle creazioni di giovani artisti, selezionati in base a un tema che cambia ogni tre mesi. Spiega Porcini:
Il grande lancio negli Stati Uniti è stato dedicato alle donne nell’arte, settore in cui le collezioni femminili sono solo il 5%. Gli artisti, selezionati attraverso una rete di consulenti, vengono sostenuti anche con l’organizzazione di eventi e mostre. Un grande successo.
Pregi, difetti e progetti. Mauro Porcini in privato
Nonostante gli sguardi da “uomo che non deve chiedere mai” con cui spesso posa davanti ai fotografi, Mauro Porcini confessa di essere un “buono”, forse troppo:
Non so se è un pregio o un difetto. Un tempo pensavo fosse normale possedere questo tipo di animo, ma la vita, a forza di “pugnalate” alle spalle, mi ha insegnato che essere così non è lo standard. Per questo cerco sempre di circondarmi di “anime pure”.
Interrogato sui difetti del proprio carattere il designer non esita a definirsi molto testardo, caratteristica che può anche essere letta in senso positivo, come qualità utile per raggiungere i propri obiettivi. E di certo le mete conquistate fino a questo momento sono state molte, ma ciò non significa che il manager italiano abbia esaurito i sogni:
Io non mi sento per niente arrivato. In PepsiCo ci sono ancora tante cose che posso fare. Voglio “spingere” i temi di sostenibilità e di wellness, voglio portare il design a un livello più elevato e continuare ad innovare. I temi da affrontare sono tantissimi e se un giorno li esaurirò, ci sarà di certo un’altra azienda in cui ricominciare. Dal punto di vista privato, non ho ancora una famiglia, dei figli, perciò nel prossimo futuro il sogno è quello di costruirne una.
Andare dove portano i sogni
Benché ami visceralmente l’Italia e si infastidisca quando viene etichettato come “cervello in fuga”, Mauro Porcini ritiene difficile tornare a viverci perché le opportunità negli Stati Uniti sono più numerose. Spiega il manager:
Io vado dove mi portano i sogni e credo che in America sia più facile realizzare quello di lasciare un segno nella storia del design. Però torno in Italia almeno cinque o sei volte l’anno e amo i ritmi più lenti dell’estate di casa nostra che a New York sono impensabili. Forse un giorno, quando avrò più flessibilità (anche se non andrò mai in pensione), prenderò una casa anche nel nostro Paese per viverci ogni tanto.