Lorenzo Marone
Lorenzo Marone: “Napoli per uno scrittore è un regalo continuo”
Patrizia La Daga

Patrizia La Daga

Giornalista milanese, co-fondatrice di ItalianiOvunque.com. Si è sempre occupata di temi economici, sociali e culturali e ha condotto trasmissioni televisive su emittenti private. Dal 1999 risiede in Spagna, a Barcellona, dove per alcuni anni ha fondato e diretto la rivista a diffusione nazionale "Ekò", specializzata nella new economy. Nel 2012 ha creato Leultime20.it, sito dedicato ai temi letterari e culturali. Dal 2018 organizza e presenta l'evento di storytelling motivazionale Leadership Arena con grandi personaggi italiani e spagnoli. Leggere, viaggiare e fare sport sono le sue grandi passioni (dopo i suoi due figli).

Nei suoi libri crea personaggi che ti restano dentro come gli amici che hai tanto amato, le sue storie sono la realtà aumentata della letteratura, spaccati di vita sotto la lente di un potente microscopio. Lorenzo Marone, 43 anni, ex avvocato, ha il dono di rendere tutto semplice, sia quando scrive di cose delicate e complesse, come nel suo ultimo libro Un ragazzo Normale (Feltrinelli), che quando deve rispondere alle domande di un’intervista.

A soli tre anni dall’esordio con il fortunatissimo La tentazione di essere felici (Longanesi), romanzo pluripremiato e tradotto in 15 lingue, da cui nel 2017 è stato tratto il film La tenerezza di Gianni Amelio, Lorenzo Marone oggi è al suo quarto libro, una storia che ha per sfondo la Napoli natale dello scrittore, punto fermo di ogni suo romanzo.

Avevo intervistato Lorenzo Marone, nel 2015 subito dopo l’uscita della sua prima opera (qui l’intervista) e ho scoperto con piacere che fama e successo non hanno cambiato lo “scrittore della porta accanto” che avevo conosciuto. Umiltà e timidezza continuano a essere i panni vestiti da questo artista della parola, capace di raccontare Napoli agli italiani e agli stranieri con occhi severi e allo stesso tempo benevoli.

Un uomo che è la testimonianza vivente del fatto che c’è un cammino giusto per tutti: “Per dieci anni ho fatto l’avvocato… male” ammette. Non gli piaceva quel mestiere, che era quello di suo padre. Da tre, evidentemente, fa quello giusto, l’ha capito lui e soprattutto i lettori che lo amano e proiettano i suoi libri costantemente in cima alle classifiche di vendita.

Incontro Lorenzo Marone nell’affollata e rumorosa sala stampa di Tempo di Libri, a Milano, dove ha tenuto una presentazione per il pubblico e lo invito a fare il punto su quello che è accaduto in questi ultimi tre anni.

Come è cambiata la tua vita dal 2015 a oggi?

Per tanti anni, quando lavoravo come avvocato, cercavo di cambiare la mia vita senza riuscirci. Poi all’improvviso è accaduto tutto insieme. Cesare (il protagonista del primo romanzo, ndr) mi ha cambiato la vita. Ancora oggi continua a vendere tanto. C’è stato il film, è nato mio figlio. Tutto questo mi ha dato l’energia per andare avanti su questa strada.

Lorenzo Marone
Il romanzo di esordio di Lorenzo Marone, uscito nel 2015, oggi tradotto in 15 paesi e da cui è stato tratto un film.

Hai scritto quattro libri in tre anni. Queste storie le avevi già in mente?

Mentre cercavo un editore per il primo libro avevo già quasi terminato il secondo. In pratica mi sono sempre trovato “un romanzo avanti” rispetto alla pubblicazione. Sono uno che scrive tanto. Finché c’è la fantasia e la voglia bisogna approfittarne. Per me scrivere è un modo per esprimere il mio mondo interiore. Continua a piacermi di più scrivere, “stare nella storia” (mia moglie dice sempre che ho la testa fra le nuvole), piuttosto che raccontarmi nelle presentazioni al pubblico, anche se so che è importante promuoversi ed è bello ricevere l’affetto dei lettori.

Dove trovi l’ispirazione?

Io sono un osservatore, cammino con “le antenne sempre diritte” per captare quello che accade intorno a me, assorbo storie, esperienze, sensazioni e le segno sul telefonino. Non voglio auto-celebrarmi però credo che conti anche l’ambiente in cui sono cresciuto. Mia madre e mia zia sono psicologhe e io sono cresciuto in un ambiente di donne dove si è sempre “masticato” l’animo umano. E poi Napoli è un regalo continuo da questo punto di vista. Ci sono così tanti personaggi senza dover aggiungere nulla.

Nei tuoi romanzi i protagonisti sono personaggi molto differenti tra loro: un anziano, un quarantenne pieno di problemi, la tipica donna dei quartieri popolari di Napoli e infine un dodicenne secchione e innamorato della giustizia. Come riesci a dare voce a personalità tanto diverse?

Da lettore non amo la serialità e da scrittore preferisco cambiare sempre punto di vista. Dopo tanti personaggi disillusi e disincantati avevo voglia di una voce più ingenua, quella di un ragazzino.

In Un ragazzo normale il ruolo di co-protagonista spetta a Giancarlo Siani, il giovane giornalista ucciso dalla Camorra nel 1985. Come mai hai scelto di inserire un personaggio reale di questo spessore nella tua storia?

Lorenzo Marone
La copertina dell’ultimo romanzo di Lorenzo Marone, “Un ragazzo normale”, uscito lo scorso febbraio e ancora tra i più venduti nelle classifiche di narrativa.

Quando ho cominciato a scrivere Un ragazzo normale il mio obiettivo era parlare dell’adolescenza, dell’amicizia, del coraggio e del concetto di eroe moderno. Avevo bisogno che Mimì (il ragazzino protagonista, ndr) avesse un modello. La storia di Giancarlo Siani per la mia generazione di napoletani, specie se come me nati al Vomero, è qualcosa che abbiamo dentro. Sono andato a visitare una mostra a Napoli dedicata a Siani in cui erano esposte le sue foto scattate dagli amici. Emergeva il ritratto di Giancarlo ragazzo, non del giornalista. Era il modello perfetto che stavo cercando.

Racconti Siani come un ragazzo davvero “normale”, solare, simpatico, modesto. Come ti sei documentato per ricostruire il suo personaggio?

Durante la stesura del romanzo c’è stata una coincidenza molto strana: il fratello di Giancarlo Siani, Paolo, senza sapere che cosa stessi scrivendo, mi contattò su Facebook per farmi sapere che era un mio lettore e per farmi i complimenti. Io gli risposi che neanche a farlo apposta stavo scrivendo un romanzo su suo fratello. Così, gli feci leggere quello che avevo scritto su Giancarlo per sapere se era credibile e lui disse di sì, senza chiedere nessuna modifica, senza interferire. Siamo diventati molto amici.

Che cosa c’è di Lorenzo Marone nel ragazzino adolescente protagonista di Un ragazzo normale?

Come sempre nelle mie storie uso la fantasia, ma anche tanto mio vissuto. Di me c’è il mondo che racconto nel libro, quello della “condivisione giornaliera”, noi ragazzini sotto il palazzo a giocare a pallone. Anche i libri che ama Mimì sono i miei, però io ero un po’ meno nerd… Lui è così perché volevo caratterizzarlo, volevo che fosse un personaggio che restasse. Nel libro c’è l’omaggio ai miei nonni (che però sono diversi da quelli del romanzo) e poi c’è l’omaggio alla famiglia normale. Dopo tanti libri con famiglie allargate e particolari, ho voluto raccontarne una tradizionale.

Nei tuoi libri, anche in mezzo al dramma, appare sempre una battuta fulminante, un pensiero ironico o una “pillola” di divertente saggezza popolare. Rispecchia il tuo carattere?

Sono sicuramente più ironico quando scrivo, perché di persona sono più introverso. Però il mio modo di intendere la vita è quello di affrontare le sue difficoltà con leggerezza, con ironia.

Un ragazzo normale è un omaggio anche agli anni ottanta. Come mai?

Sono stati gli anni della mia adolescenza e, belli o brutti, io ci sono molto legato. Sono un romantico, quello degli ottanta è stato l’ultimo decennio della condivisione vera, prima dell’arrivo della tecnologia. Si stava per strada a giocare a pallone…

Hai ricevuto qualche critica con cui non sei d’accordo?

Sì, mi infastidisce chi critica il mio stile etichettandolo come leggero, senza capire che stile leggero non equivale a storia leggera. Io sento la necessità di parlare dell’individuo e delle tematiche importanti a modo mio, cioè con leggerezza e ironia. Non mi piacciono la scrittura barocca e il finto intellettualismo e forse questo dà un po’ fastidio.

Hai già in mente il prossimo romanzo?

Più che in mente, l’ho già quasi finito… Ma non posso dire nulla.

Sarà ancora ambientato a Napoli?

Sì, non sento l’esigenza di cambiare. La mia scrittura è molto legata alla città. Non posso immaginare di scrivere senza usare la lingua napoletana e senza alcuni personaggi che “sono” Napoli stessa. Napoli è un teatro a cielo aperto. Tutto quello che ho da dire è legato alla mia terra.

Quel è il tuo più grande  sogno?

Io sono ambizioso il giusto, con la scrittura credo di avere avuto tanto. La mia filosofia è sempre quella di dare valore a ciò che si ha già. Certo, anch’io guardo le classifiche, ma cerco di non farmi prendere dall’ossessione. Insomma, se potessi continuare così sarei felice. I miei sogni in questo momento riguardano mio figlio, che ha due anni e mezzo e che per me è al centro di tutto.

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