Sapevate che dai micro resti intrappolati nel tartaro dei denti, prelevato dallo scheletro di persone vissute centinaia di anni fa, un archeologo può ricostruire la loro esistenza e quella della comunità in cui vivevano? È una delle attività, che ai non addetti ai lavori può apparire molto curiosa, alla quale si dedica con grande passione Elena Fiorin, giovane bioarcheologa specializzata nello lo studio dei resti scheletrici umani.
Con lei abbiamo fatto il punto sul lavoro dell’archeologo, una professione che richiama tanti giovani mossi dall’amore per la storia e la conoscenza, ma che, purtroppo (e paradossalmente), nel nostro Paese offre scarse opportunità professionali.
Nata a Pordenone nel 1984, dopo la laurea in archeologia all’Università di Padova Elena Fiorin ha studiato a Siviglia, Barcellona, Uk e per tre mesi anche negli Stati Uniti. Dallo scorso ottobre vive e lavora a Newcastle, in Inghilterra, dove collabora con le Università di Durham e di York.
La sua passione per l’archeologia viene da lontano:
Già alle elementari ero una delle poche a cui piaceva la storia. Mi divertivo tanto a fare le ricerche e a portarle a scuola. Ogni anno, con i miei genitori, facevamo un viaggio in un posto diverso in Europa e io, in ogni castello o museo che visitavamo, fingevo di essere la guida e mi inventavo delle storie. Avevo anche la passione degli animali, perciò all’inizio ero indecisa tra l’archeologia e veterinaria.
Come tanti giovani che hanno lasciato il nido materno molto presto e vissuto in diverse realtà internazionali, Elena Fiorin si definisce “cittadina del mondo” e racconta con entusiasmo il suo percorso di studi e il duro lavoro dell’archeologo:
Il campo d’azione di un archeologo è vastissimo. Puoi specializzarti in un periodo storico specifico, in ceramiche, in numismatica, in resti animali, in egittologia… Io ho trovato la mia strada mentre frequentavo l’Università a Padova grazie a un professore di archeologia dei resti umani. Il suo corso mi ha fatto capire che cosa mi piaceva davvero. Dopo la tesi mi sono iscritta alla laurea specialistica con indirizzo medievale e sono partita per Siviglia, dove sono rimasta un anno e ho partecipato allo scavo di una necropoli islamica nel centro di Siviglia. L’anno a Siviglia è stato bellissimo e mi ha fatto capire che non avrei voluto restare in Italia a lungo.
Il lavoro dell’archeologo si fa anche il laboratorio con 35 casse di ossa da analizzare.
Rientrata dalla Spagna la futura bioarcheologa si dedica alla tesi della specialistica che comporta un enorme lavoro di analisi, che la tiene impegnata quasi un anno, per studiare il materiale proveniente da un’area cimiteriale di Sirmione, sul Lago di Garda.
Avevo trentacinque casse di materiale da analizzare in laboratorio, quasi cento individui dei quali dovevo pulire le ossa, ricostruirle, analizzare il sesso, prendere le misure antropometriche per determinare la statura e la robustezza, individuare eventuali tracce di patologie o stress meccanici per capire se il corpo era sottoposto a tipi di lavori usuranti. In questo modo era possibile determinare sia il profilo personale degli individui che la vita dell’intera comunità.
Dopo questa esperienza, nel 2011, Elena Fiorin torna in Spagna, questa volta all’Università autonoma di Barcellona, per un dottorato in biologia. Un’esperienza molto positiva che mette in luce le differenze tra l’ambiente universitario italiano e quello catalano:
Rispetto al contesto italiano dove i docenti ti tengono un po’ distante, a Barcellona ho trovato professori molto disponibili, sempre pronti ad aiutarti, anche se erano gli anni della crisi ed economicamente la Spagna non stava bene. In quel periodo mi sono mantenuta facendo lavoretti, dal tecnico di laboratorio, alle sessioni informative per le scuole e ho collaborato con la Soprintendenza in Italia.
In Italia a rischio di “mollare”
La giovane e talentuosa bioarcheologa ottiene la possibilità di studiare come visiting research student prima allo Smithsonian Institution di Washington, uno dei più importanti musei d’America, e poi alla Durham University in Uk, esperienze che le permettono di rafforzare diverse competenze. Nel 2015, concluso il dottorato, torna in Italia e comincia un periodo che non esita a definire “molto difficile”:
Il grande problema del lavoro dell’archeologo è che non ci sono altre attività che non siano la archeologia da campo o la ricerca. Non esistono, come in altri settori, aziende private che offrano posti di lavoro. Al massimo qualche concorso per accedere ai musei, che però è rarissimo. In quel periodo ho fatto dei lavori saltuari e non sapevo davvero come venirne fuori, mi ero scoraggiata. Nella mia zona non c’erano centri che potessero supportare il tipo di ricerca a cui mi ero abituata. Stavo addirittura cominciando a pensare di lasciare e fare altro.

La passione di Elena Fiorin ha la meglio sulla disperazione e la bioarcheologa si mette a rispolverare vecchi contatti alla ricerca di un lavoro furori dall’Italia. Il suo compagno, anche lui archeologo ma specializzato in un settore completamente diverso, vive in Inghilterra così decide di raggiungerlo e finalmente trova un lavoro molto stimolante alla Durham University:
Quella di venire in Inghilterra è stata la scelta più intelligente che potessi fare. Il progetto che seguo è dedicato ad alcuni soldati scozzesi del XVII secolo ritrovati anni fa. Io non ho partecipato agli scavi, sono arrivata dopo e mi sono occupata della ricostruzione 3D delle ossa. Si ricrea interamente lo scheletro che poi viene stampato per poterlo esibire alla mostra per il pubblico, che è iniziata proprio questo mese di giugno.

Nel tartaro dentale degli scheletri la bioarcheologa trova le informazioni sulla vita nel passato
Ma non è tutto. Il Regno Unito ha aperto a Elena Fiorin anche la porta di un settore molto innovativo in ambito archeologico qual è quello della studio del tartaro dentale:
Ho cominciato a collaborare con l’Università di York con cui da settembre farò un post-dottorato. Lo studio del tartaro dentale è un campo molto nuovo. Io mi occupo di analizzare al microscopio i micro resti che possono trovarsi intrappolati al suo interno, come frammenti di piante, fibre, spore che si trovano nell’aria o fungine, cioè prodotte dalla decomposizione di alcuni alimenti, oppure pollini, resti di amidi provenienti dai cereali, uova di parassiti intestinali. Spesso è difficile non solo individuarli ma anche capire di cosa si tratta.
Il lavoro della bioarcheologa prevede spesso tre fasi, tutte ugualmente importanti: lo scavo, l’analisi dei reperti in laboratorio e la pubblicazione dei risultati sulle riviste scientifiche. Per Elena Fiorin le prime due sono più emozionanti, ma è consapevole di quanto la documentazione e pubblicazione delle proprie ricerche sia fondamentale. Spiega la bio-archeologa:
A me piace molto sia la parte di lavoro sul campo che quella di ricostruzione in laboratorio. Il momento in cui trovi qualcosa in uno scavo è sempre molto emozionante anche se, dal momento che io lavoro in aree cimiteriali, so già che sarà uno scheletro quello che verrà fuori. Quello che mi emoziona di più è scoprire uno scheletro con qualche patologia, diverso dagli altri. Delle tre fasi la scrittura è quella meno attiva e quindi meno entusiasmante, anche se c’è sempre la sfida di ottenere il riconoscimento del lavoro fatto. In genere noi archeologi mandiamo i nostri articoli alle riviste scientifiche, dove ci sono due revisori che in un paio di mesi ti rispondono positivamente o negativamente.
La vita in Uk e i consigli per chi vuole diventare archeologo
Elena Fiorin apprezza l’ambiente di lavoro inglese e sottolinea come le attrezzature siano più avanzate non solo rispetto al nostro Paese ma anche a Barcellona. Spiega:
Qui si vive bene, l’ambiente della ricerca è molto bello e soprattutto c’è voglia di collaborare e condividere. Si organizzano tante riunioni e seminari per parlare e confrontarsi sui progetti. In Italia, purtroppo, non ho trovato questo spirito. Certo il clima inglese…
Per chi si avvicina adesso agli studi di archeologia Elena Fiorin suggerisce di tenere ben presenti le difficoltà di questo lavoro:
Se si cercano i soldi non è l’archeologo il mestiere giusto. Bisogna avere una passione più forte di qualsiasi altra cosa perché l’archeologia non è un lavoro che ti dà tanto indietro ti obbliga a sacrificare molti momenti della tua vita personale. Dopo gli anni della crisi trovare un lavoro permanente è quasi impossibile. I lavori sono tutti a tempo, con contratti da due mesi a due, tre anni al massimo. E quando trovi un progetto per due anni, alla fine del primo devi già metterti alla ricerca del successivo che ti consenta di lavorare alla scadenza del contratto. Conosco amici che in Italia hanno cambiato mestiere…
Chi si immagina il lavoro dell’archeologo come una costante avventura, simile a quella raccontata nei film è lontano dalla realtà. Fa male scriverlo, ma in Italia, patria della storia, avrebbe decisamente bisogno di essere rivalutato e sostenuto.