Le quotazioni dei cervelli italiani nel mondo sono sempre più… alle stelle. Ne è una prova la storia di Sara Buson, trentottenne astrofisica veneta, che del cosmo cerca di svelare i segreti. Lo scorso ottobre Sara Buson è stata insignita del prestigioso ISSNAF Award, un riconoscimento che l’omonima fondazione, che riunisce e promuove gli scienziati italiani negli States, assegna ogni anno ai migliori ricercatori nel corso di una cerimonia che si svolge presso l’ambasciata italiana a Washington.
Da poche settimane Sara Buson vive in Germania, a Würzburg, città bavarese dove è junior Professor presso la facoltà di astrofisica della Julius-Maximilians-Universität e la passione con cui spiega i fenomeni cosmici non lascia dubbi sul perché la giuria dell’ISSNAF abbia voluto assegnarle il premio di quest’anno. La ricercatrice descrive con trasporto e soprattutto con pazienza, l’oggetto dei suoi studi, cercando di rendere accessibile a chi la ascolta una materia complessa come l’astrofisica.
Sara Buson, che fa parte del team Fermi Large Area Telescope (LAT) della NASA è stata premiata per l’importante contributo all’identificazione dell’origine di un neutrino cosmico, una scoperta di enorme rilevanza per la comunità scientifica, che lei descrive così:
Grazie alle rilevazioni del nostro team e di diversi collaboratori, per la prima volta abbiamo potuto provare che i neutrini cosmici e i raggi gamma hanno la stessa origine, ovvero un particolare Nucleo Galattico Attivo, cioè una galassia con un buco nero al centro, da cui vengono emessi fasci di particelle che puntano verso la Terra. Un passo in avanti per studiare uno dei più grandi misteri dell’Universo, ovvero l’origine dei raggi cosmici, individuati per la prima volta dal premio Nobel Victor Hess nel 1912.
La nascita di una passione e l’eccellenza della scuola italiana
Come nasce una passione capace di portare una ragazza di Pernumia, paese di quattromila abitanti in provincia di Padova, alla NASA e alle ricerche cosmiche? Sara Buson risponde così:
In realtà io non avevo questo sogno, o per lo meno non immaginavo che sarei arrivata fino a qui. Fin da bambina però ero affascinata dalle stelle e dalla bellezza della natura. Forse ha influito anche un cugino di mio padre, astronomo all’Osservatorio di Padova, le cui storie ho sempre ascoltato con interesse, e mia mamma, insegnante di matematica alle elementari, che mi ha avvicinata alla scienza. Le materie scientifiche mi sono sempre piaciute e ho avuto ottimi insegnanti fin dalle medie. Ci tengo a sottolinearlo perché la scuola italiana ha aree di eccellenza nonostante si trovi a volte al centro di critiche pesanti.
Terminato il liceo scientifico la futura scienziata decide di iscriversi alla facoltà di fisica dell’Università degli Studi di Padova, inizialmente convinta di avere più opportunità professionali in quel settore che in quello astronomico. Nell’ultimo anno, però, l’amore per le stelle prende il sopravvento e la giovane Sara Buson si specializza in astrofisica, scelta che le offre l’opportunità di conoscere i “top scientist” internazionali, collaborando come visiting student presso le Università di Stanford e Berkeley.
Dopo il dottorato, terminato nel 2013, ho continuato la mia ricerca all’Università di Padova per due anni, fino a quando è arrivata l’opportunità di lavorare in uno dei maggiori centri di ricerca del campo astrofisico. La competizione nel nostro settore è elevatissima e dopo essermi candidata per varie posizioni all’estero, nel 2015 ho vinto la NASA Post-Doc Fellowship e mi sono trasferita a Washington DC per lavorare al NASA Goddard Space Flight Center come ricercatrice indipendente.
La vita americana secondo Sara Buson
Della vita americana, terminata solo da poche settimane, Sara Buson apprezza l’ambiente cosmopolita e stimolante anche se caratterizzato da un elevato tasso di stress e da qualche inconveniente causato dalle grandi distanze, che obbligano a lunghi spostamenti per raggiungere il posto di lavoro, dal costo della vita elevato e dal contrasto culturale:
Per me nei primi tempi lo scontro culturale è stato forte. Ad esempio il cibo è stato un problema. Arrivavo alla cassa del supermercato con il carrello vuoto perché tra la grande offerta di cibi già pronti e super elaborati non sapevo che cosa acquistare. Poi ho cominciato a trovare i miei punti riferimento per reperire gli ingredienti base migliori e ho messo a frutto l’esperienza trasmessami dalla mia famiglia, dando prova dell’alta fama della cucina italiana ad amici e colleghi. Facevo anche il pane in casa pur di non mangiare quello pieno di zuccheri dei negozi.
La scienza e le donne
In Germania Sara Buson ha ritrovato la vecchia Europa e nonostante il clima, è felice di impiegare solo un quarto d’ora per raggiungere l’Università dove insegna agli studenti dell’ultimo anno. Scherza la scienziata, mostrando il suo ufficio a chi la intervista:
Adesso ho anche una finestra, cosa che alla NASA mi mancava tantissimo, lì si vive costantemente con la luce artificiale…
Al di là delle battute, le motivazioni che sottostanno al cambiamento di sede sono assai rilevanti. Spiega Sara Buson:
Nel nostro campo per crescere bisogna cambiare, “andare di eccellenza in eccellenza”, per questo ho intrapreso questa esperienza in Germania. Il nostro è un lavoro che richiede molti sacrifici anche a livello personale. Io sono single, spesso fatico persino a trovare il tempo per chiamare la famiglia e gli amici. Non ci sono orari o giorni fissi, può capitare di ricevere un’allerta di sabato o domenica e di doversi mettere immediatamente al lavoro.
Interpellata sulla sempre viva questione delle discriminazioni subite dalle donne in ambienti professionali prevalentemente maschili, come quello scientifico, dove comunque non mancano professioniste eccellenti, Sara Buson, risponde in modo incoraggiante per le generazioni di future scienziate, dichiarando di aver goduto di una parità di opportunità negata invece in altri contesti:
Io non ho avuto problemi per il fatto di essere donna. Nel nostro gruppo di lavoro alla NASA le donne erano tante e non ho mai avuto la sensazione che ci fossero pregiudizi legati al sesso.
Per il futuro la scienziata italiana, occupatissima tra lezioni universitarie, redazione di articoli scientifici e sviluppo di nuovi progetti, sogna una posizione professionale più stabile e soprattutto i finanziamenti necessari a creare un gruppo di ricerca. L’idea di tornare in Italia per ora non è un’opzione:
Al momento non ci penso. Il sistema italiano non favorisce chi, come me, ha fatto anni di ricerca all’estero. Per ora mi concentro sulla mia nuova opportunità in Germania, poi si vedrà.