Quando si parla si cinema, conquistare critica e pubblico non è mai cosa semplice. Eppure, il regista e sceneggiatore Luca Gianfrancesco, con la collaborazione del fratello Paolo, filmaker, fotografo e startupper, fondatore di Mediacontents Production, ci è riuscito, ottenendo grandi consensi con il suo docu-film Terra Bruciata!, una testimonianza straordinaria di una delle pagine più drammatiche e meno conosciute dell’epoca nazi-fascista nel nostro Paese.
Terra Bruciata!, uscito il 25 aprile del 2018, distribuito da Istituto Luce Cinecittà, narra la resistenza della popolazione campana alle brutali violenze dell’esercito tedesco dopo l’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Attraverso la fiction cinematografica, ma anche interviste e documenti originali, il docu-film ricostruisce episodi reali mai portati all’attenzione del pubblico.
Festival, premi e la proiezione di “Terra Bruciata!” al Parlamento Europeo
Dal giorno della sua uscita Terra Bruciata! ha collezionato riconoscimenti senza sosta. Proiettato nei cinema italiani e in oltre 30 città di tutto il mondo, oggetto di conferenze nelle aule scolastiche, il docu-film ha vinto numerosi Festival e continua a riscuotere successi, tanto che lo scorso 30 gennaio, in occasione della “Giornata della Memoria”, è stata organizzata una proiezione al Parlamento Europeo di Bruxelles.
Terra Bruciata! è un’opera di grande valore storico che ha richiesto oltre tre anni di lavorazione per raccogliere la documentazione, approfondire la ricerca e girare le scene in costume. Un lavoro di squadra che fa onore al talento italiano, reso ancora più significativo dal fatto che siano due fratelli ad averlo reso possibile. Abbiamo voluto incontrare Luca e Paolo Gianfrancesco per farci raccontare i dettagli di questo successo:
Luca è regista, Paolo è filmaker fotografo e produttore. Un team perfetto, ma come nasce questa passione artistica in famiglia?
Paolo: negli anni 70 nostro padre acquistò le attrezzature di un vecchio fotografo, ma nel paesino dove vivevamo non c’era la possibilità di frequentare corsi o condividere esperienze con altri appassionati di fotografia, solo la sua determinazione ad evolversi in un ambiente “non stimolante” gli consentì di aprire il suo studio fotografico. La svolta, e il nostro coinvolgimento, avvenne qualche anno dopo grazie all’apporto creativo di nostra madre, che tutt’ora è una fotografa molto apprezzata e stimata, che trasformò questo hobby di papà in business di famiglia. Negli anni ottanta avevamo uno studio fotografico all’avanguardia con tantissimi clienti sia privati che aziende. Io e Luca, appena adolescenti, ci sentimmo parte di questa avventura e, con l’acquisto di una cinepresa super 8, oltre a partecipare all’impresa di famiglia, iniziammo a sperimentare.

Lavorate spesso insieme? Intervenite uno nelle scelte dell’altro, vi consultate (anche in materia di regia, etc)?
Luca: nel tempo abbiamo preso strade diverse e percorsi professionali a volte paralleli che si sono incrociati nel 2010 quando abbiamo messo su la nostra società di produzione. Abbiamo creato, oltre ad un comparto dedicato alla produzione di documentari e fiction per la tv e per il cinema, un consistente ramo d’azienda specializzato in servizi foto e video che ci ha consentito di sviluppare in autonomia piccoli progetti, salvo poi convergere e lavorare fianco a fianco sui progetti importanti. In merito alle questioni legate agli aspetti creativi e di produzione lavoriamo con grande autonomia. Chiaro che poi, prima di entrare nella fase operativa, si apre il confronto. Questo è un momento molto interessante. Dalla osmosi fra le nostre idee, che in questa fase sono di carattere organizzativo, spesso nascono idee e soluzioni che migliorano la componente creativa del nostro progetto.
Quando e come è nata l’idea di “Terra Bruciata!“?
Luca: l’idea è nata durante una cena a casa di Paolo, circa sette anni fa. Tra gli invitati c’era il Professor Giuseppe Angelone, un carissimo amico di gioventù, assieme avevamo condiviso la passione per il rock negli anni dell’adolescenza. Durante la cena, raccontandoci le nostre rispettive carriere, Angelone mi parlò della ricerca che stava conducendo in merito ad alcuni eccidi nazisti avvenuti nella Campania centro-settentrionale nell’autunno del 1943. Incuriosito da quel racconto incredibile, iniziai una ricerca negli archivi audiovisivi per capire se esistessero film o documentari che si fossero già occupati dell’argomento. Con grande stupore appresi che, tanto il cinema quanto la televisione, avevano completamente ignorato questo capitolo oscuro e terribilmente cruento della nostra storia recente. Da quel momento, con il Professor Angelone e con altri storici quali Felicio Corvese, Giovanni Cerchia, Gabriella Gribaudi, Carlo Gentile e Isabella Insolvibile – tutti affermati studiosi di caratura internazionale è partita l’avventura di questo film.

Perché ancora una storia sul nazismo?
Luca: Beh, per molti motivi. Ad esempio perché un approfondimento sull’occupazione nazista del nostro Paese, soprattutto quella del meridione, e l’analisi di alcuni episodi resistenziali inediti, possono ancora riservare tanti spunti di riflessione molto interessanti per comprendere al meglio il processo che ha condotto alla liberazione dal nazifascismo.
Qual è l’obiettivo del film?
Luca: Uno dei primi obiettivi che mi sono posto quando ho preso contatto con i protagonisti del film (i testimoni) e le loro terribili storie è stato quello di onorare la loro memoria e quella delle vittime di tanta brutalità. Parliamo di uomini e donne che con grande dolore hanno custodito nella loro vivida memoria, per oltre settant’anni, fatti terribili, riguardanti le loro famiglie e le loro comunità. Io dico sempre negli incontri che facciamo con il pubblico e con gli studenti che con questo film siamo riusciti a raccogliere le loro voci giusto in tempo, prima che fosse troppo tardi. Purtroppo molti testimoni sono scomparsi poco dopo le interviste. Direi che questo film può essere importante perché, senza montarsi troppo la testa, può contribuire al processo storico di unificazione fra le esperienze resistenziali al nazifascismo avvenute nel sud del Paese e quelle, ben più note, che videro protagoniste le comunità del centro-nord. Da alcuni anni, con grande ritardo, finalmente la revisione di questo paradigma è in corso e un film che arriva ad un pubblico di massa e generalista, forse può essere d’aiuto. Un’occasione per rendere finalmente giustizia a chi combatté e perse la vita nel meridione d’Italia.

A che tipo pubblico è destinato il film?
Luca: quando nelle riunioni con produttori, distributori, oppure nelle presentazioni dei progetti viene fuori l’argomento del pubblico di riferimento – il cosiddetto ”target audience” – io, devo essere sincero, sono sempre in grande difficoltà. È una domanda a cui proprio non riesco a rispondere. Mi verrebbe da dire che Terra Bruciata! è destinato a tutti, senza distinzione di sesso, età, classe sociale o istruzione. Quando penso ad un film, forse ingenuamente, mi convinco che quella storia ha un valore universale e che lo spettatore, in modo conforme alla propria sensibilità e cultura, possa trarne giovamento. Ma forse, come anticipato, questa è solo la mera illusione che anima chi ha a che fare con la creazione artistica.
Come vi siete finanziati?
Paolo: quando abbiamo deciso di imbarcarci in questa avventura avevamo un’urgenza: il tempo. Come anticipato da Luca, dovevamo realizzare le interviste ai testimoni prima che fosse troppo tardi. Ecco perché, in maniera un po’ incosciente devo dire, ci siamo rimboccati le maniche e siamo partiti con le riprese senza aspettare le lunghe procedure che ci avrebbero consentito di accedere ai fondi pubblici di supporto al cinema. Questo è stato possibile grazie alla grande disponibilità dei sei attori protagonisti, tutti attori di cinema e teatro, che generosamente hanno dato la loro disponibilità e al contributo decisivo venuto dai tanti amici operatori del cinema, dalle tante professionalità che abbiamo sorprendentemente trovato sul territorio e che hanno offerto la loro prestazione a titolo gratuito come le associazioni di rievocatori e i musei, la costumista, gli scenografi, gli attori (co-protagonisti) e le comparse reperite dalle tante filodrammatiche del territorio. Dopo questa prima fase, lentamente, siamo riusciti a mettere assieme una cordata di istituzioni locali (i comuni, la Comunità Montana, l’Ente per il Turismo) e qualche sponsor. Il sufficiente insomma per poter girare le prime ricostruzioni in costume e montare le prime sequenze del film. Decisivo, per chiudere il budget, è stato il supporto per la ricerca scientifica ricevuto dal CNR e, nello specifico, dal dipartimento ITABC. Infine, siamo riusciti a chiudere il cerchio grazie alla partecipazione ai costi di post-produzione e di distribuzione di Istituto Luce Cinecittà, una della maggiori case di distribuzione italiane.

Chi sono gli attori, come è stato fatto il casting?
Luca: I sei attori protagonisti sono: Antonio Pennarella, Paola Lavini, Antonello Cossia, Mino Sferra, Arturo Sepe e Lucianna De Falco. Tutti attori con delle carriere importanti nel cinema, nella fiction e nel teatro. Questa scelta è stata per me molto facile, naturale direi. Con alcuni di loro, oltre ad un sincero rapporto di amicizia, mi lega l’aver condiviso negli anni tante esperienze e progetti di cinema e teatro.

Quali sono state le difficoltà di realizzazione del film?
Paolo: Il film in un primo momento fu pensato per essere un documentario di 52 minuti per la televisione. Durante le prime riprese, effettuate nelle location dove gli episodi raccontati ebbero luogo, la gente del posto ci ha sostenuto e incoraggiato ma, cosa sconvolgente, molte persone anziane che fino a quel momento avevano taciuto, hanno voluto raccontarci le loro storie, veramente tante e tutte incredibilmente dimenticate. Ecco che nasce e prende corpo l’idea di trasformare un documentario per la TV in un film per il cinema.
Uno o più momenti particolarmente emozionanti delle riprese?
Luca: uno dei momenti più emozionanti lo abbiamo vissuto quando, dopo la proiezione del film a Milano, iniziando un dibattito con il pubblico, ho chiesto se ci fossero domande e, dal fondo della sala, una signora si è alzata e ha detto: “Io veramente più che una domanda avrei da dire una cosa, la bambina ebrea nata nel campo di internamento di Tora, sarei io!”.
In sala siamo rimasti tutti per un attimo senza fiato. Non riuscivamo a credere che proprio a Milano, dopo 75 anni, avremmo finalmente ritrovato la bambina ebrea di nome Annie Sacerdoti di cui si parla nel film! Sì, perché in un episodio di Terra Bruciata!, la testimone Ziva Modiano Fischer, parlando dell’eroico salvataggio della comunità ebraica napoletana a Tora, un piccolo borgo dell’alto casertano, dice che forse Tora è l’unico luogo in Europa in cui gli ebrei sono arrivati con un numero e quando sono andati via questo numero invece di diminuire è aumentato di un’unità: a Tora, durante l’occupazione nazista, era nata una bambina: Annie Sacerdoti. E quindi dopo lo sbigottimento iniziale, tutta la sala ha iniziato a battere le mani. Un applauso che sembrava non avere fine. Io ho visto gente con le lacrime agli occhi.
Dalla sua uscita lo scorso aprile il film ha ricevuto numerosi riconoscimenti. Ve lo aspettavate?
Paolo: Quando Luca finì di scrivere la sceneggiatura, prima di avviare la fase operativa, avemmo il sentore che, in virtù della caratura scientifica dell’opera, ci potesse essere un riscontro positivo. Durante la lavorazione, quando la fiction iniziava a prendere forma invece, capimmo che il film aveva qualche possibilità di raccogliere consensi di pubblico e critica anche per la sua cifra stilistica e artistica. Quello che francamente non ci aspettavamo sono stati gli incoraggianti dati di pubblico e i tantissimi festival vinti. La prima volta che ho capito veramente che il film sarebbe andato ben oltre le nostre aspettative fu durante le prime proiezioni in sala. Vedere il coinvolgimento emotivo del pubblico mi ha dato la conferma che questo film ci avrebbe dato molte soddisfazioni. Non da ultimo è stato il giudizio, pressoché unanime, della critica. Grandi giornalisti e critici cinematografici, anche quelli più severi, in televisione e sulla carta stampata, hanno speso parole che definire incoraggianti sarebbe riduttivo.

Quale premio vi ha dato più soddisfazione?
Luca: Mah, è difficile dirlo. Ogni riconoscimento, a suo modo, è stato importante per la carriera di questo film. Anche perché, oltre al premio fisico, quello che ci ha sorpreso molto sono state le motivazioni incredibilmente argomentate e molto incoraggianti. Fra le più significative, ne ricordo alcune: la scelta coraggiosa di affrontare un tema così delicato con la formula del docu-drama, la regia attenta ai dettagli, il rigore scientifico e lo straordinario talento degli attori protagonisti e co-protagonisti. Tante emozioni diverse fra loro nei festival in Italia e nel mondo che scegliere quale premio ci abbia dato più soddisfazioni è veramente complicato
Quali sono i vostri progetti per il futuro?
Luca: Ho appena finito la ricerca e sto iniziando a scrivere il soggetto del prossimo film. Questa volta si tratterà, seppur ispirato a fatti realmente accaduti, di un film di sola finzione. Il tema, in realtà, prende vita da una costola di Terra Bruciata!. Infatti riguarderà l’episodio del salvataggio della comunità ebraica napoletana messo in essere dagli abitanti di Tora e Piccilli nell’autunno del 1943. Un incredibile gesto di coraggio e la solidarietà che merita di essere raccontato prima che se ne perdano le tracce.