Un’estate infuocata del 1978, un paesino della provincia di Agrigento che ad agosto si riempie dei passi di chi è andato via a cercare fortuna, e ha la fortuna di ritornare in paese per le ferie. Un gruppo di amici, tra cui il diciassettenne Totò, voce narrante del romanzo “Il diavolo d’estate” con cui Giovanni Accardo torna in libreria, inaugurando la collana ATTRAVèRSO della casa editrice Ronzani, dopo l’esordio nel 2006 con “Un anno di corsa” (Sironi Editore), e il diario, a tratti autobiografico, “Un’altra scuola” per Ediesse, decide di organizzare una discoteca per movimentare le serate del sonnolento paese. Una storia che si snoda tra due binari paralleli: il presente narrativo in cui la discoteca è bruciata causando la morte di uno dei giovani, e il passato recente in cui si dà conto delle relazioni, della vita in paese e dell’introspezione dei personaggi che è anche un modo affilato con cui raccontare una terra complicata come la Sicilia della fine degli anni Settanta. Il romanzo è un omaggio alla terra d’origine dello scrittore, che si riflette anche nella lingua con le inserzioni di dialetto che raramente sono nel corpo del testo, ma relegate ai dialoghi, soprattutto quelli famigliari. Anni difficili e a loro modo tremendi, in particolare il 1978 con il senso di spaesamento che avvolse l’Italia dopo il ritrovamento del cadavere di Moro. Ma la Sicilia descritta e le vite dei giovani che ne sono protagonisti, insieme con la varia umanità che popola il paese, ritratta con precisione e attenzione sia al dato sociologico che economico, sono come lontani dalle onde tumultuose delle politica nazionale. Come se della Storia arrivasse solo l’eco e non ne cogliessero in pieno gli effetti, cosicché gli anni Settanta sono fascinosamente uno sfondo più intimo e introspettivo che non storico e politico.