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Shock culturale inverso: sentirsi stranieri nel proprio paese
Erika Bezzo

Erika Bezzo

Erika Bezzo è coach strategico e interculturale, certificata presso l’ICF (International Coach Federation). Fondatrice di ChangeXperience.com, è specializzata nell’accompagnamento di chi lascia il proprio paese per iniziare una nuova avventura all’estero. I suoi 12 anni di esperienza come manager nel campo del marketing e della comunicazione l’hanno portata a vivere e lavorare in Italia, Germania, Francia e Spagna. Tiene sessioni di coaching in italiano, spagnolo, francese, tedesco e inglese. Le lingue, la lettura e la scoperta di nuove culture sono le sue passioni.

Sei in una stanza piena di gente e ti senti fuori posto, ascolti i discorsi di chi ti circonda e non riesci a trovarne il senso, provi ad inserirti in una conversazione, ma hai l’impressione che ciò che racconti non interessi a nessuno. Ti senti spaesato e incompreso. Ciò che prima ti era familiare, ora ti risulta estraneo. Se al rientro in patria hai provato alcune od ognuna di queste sensazioni, è molto probabile che tu abbia vissuto, in modo più o meno intenso, il cosiddetto shock culturale inverso o reverse culture shock.

Che cos’è lo shock culturale inverso

Cos’è il reverse culture shock? La letteratura specializzata lo definisce come il processo di riadattamento alla propria cultura di origine, che si rende necessario al rientro nel proprio paese dopo aver vissuto per un periodo all’estero.

Se quello della partenza è uno shock annunciato, lo shock da ritorno ti coglie del tutto impreparato, non ti aspetti che il rientro a casa possa causarti una tale sensazione di disagio.

Il problema più grande è, infatti, il disallineamento tra le tue aspettative e la realtà. Tornare a casa implica delle aspettative basate sulle tue esperienze passate, ma la realtà è che, durante la tua assenza, il paese è cambiato, le persone sono cambiate e tu stesso sei cambiato. La vecchia vita che immagini di ritrovare non esiste più. Ogni ritorno è un nuovo inizio.

Elena, rientrata a Milano dopo 5 anni a Pechino, racconta di come sia stato difficile reintegrarsi nella propria rete sociale.

O ci invitavano perché davamo un tocco esotico alla serata o ci evitavano perché considerati strani.

 Sonia, tornata a Genova dopo 3 anni in Camerun, ci riferisce della sua rabbia di fronte a un modello di vita che non riesce più a condividere

Per tre anni ho lavorato come insegnante per bambini per conto di una Onlus,. La mia scala di valori è stata completamente sovvertita, il contatto con chi ancor oggi lotta per soddisfare i bisogni primari mi ha fatto riconsiderare completamente il mio modo di vivere. Ogni spreco oggi mi genera una rabbia incontrollabile, dall’uso eccessivo della plastica nei supermercati al fatto di prendere l’auto per fare 300 metri, tutto mi sembra illogico e privo di senso, un insulto nei confronti della vita.

Prepararsi a tornare

Più a lungo restiamo all’estero e più distante dalla nostra è la cultura del paese di accoglienza, maggiore sarà l’impatto che questa avrà sulla nostra identità e sui nostri valori. Ansia, frustrazione, isolamento e irritabilità sono sintomi ricorrenti, fino a giungere a una vera e propria depressione nei casi più gravi.

Dati statistici del Ministero degli esteri USA indicano che 77 persone su 100 soffrono di questo problema al rientro in patria e che il processo di riadattamento al paese di origine può durare da 3 a 12 mesi.

Come fare allora per prevenirlo? Il “ritorno a casa” va preparato, indicativamente 6 mesi prima del rientro, avvalendosi dell’aiuto di specialisti. Se nei paesi anglosassoni c’è una certa consapevolezza rispetto al fenomeno dello shock culturale inverso in Italia purtroppo se ne parla poco e i circa 30.000 expat che ogni anno rientrano nel paese si trovano in balia di se stessi e di emozioni che non riescono a decifrare.

Ogni ritorno è l’inizio di un nuovo viaggio, prepara l’itinerario!

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