coronavirus a Hong Kong
Vivere a Hong Kong ai tempi del coronavirus
Benedetta Benassi

Benedetta Benassi

Cremonese di nascita e milanese di adozione, amo da sempre studiare le lingue straniere, viaggiare e conoscere nuove culture. Laureata in traduzione, specializzata in comunicazione, dopo anni di lavoro nel settore delle Pubbliche relazioni, nel 2016 mi sono trasferita in Brasile, a Rio de Janeiro, con mio marito e i miei due figli. A Rio ho collaborato con molte ONG e presieduto l'International Club di Rio (ovvero il club degli expat). a gennaio 2020 mi sono trasferita ad Hong Kong e da qui scrivo le mie corrispondenze. Amo leggere, scrivere, e a Rio ho imasrato a ballare la samba!

coronavirus a Hong KongIl coronavirus ha appena fatto la sua prima vittima ad Hong Kong, la città in cui vivo dall’agosto scorso, dopo quattro anni trascorsi in Brasile. La notizia ha fatto il giro dei media. Arrivata nell’ex-colonia britannica in un momento particolarmente difficile, a causa delle proteste contro il governo cinese, non avrei mai immaginato di dover vivere, pochi mesi più tardi, anche l’esperienza dell’epidemia del coronavirus.

Iniziate lo scorso giugno contro la legge sull’estradizione, le proteste si sono trasformate in una dura opposizione, sfociata in guerriglia urbana, all’ingerenza sempre più accentuata di Pechino nell’autonomia di Hong Kong.

Gli scontri con la polizia hanno causato decine di feriti e alcuni morti e l’utilizzo di armi da fuoco contro la folla ci ha costretto a restare chiusi in casa per settimane e rinunciare alle normali attività quotidiane come andare in ufficio, a scuola o frequentare i luoghi pubblici.  Passata, seppur non del tutto, la bufera delle proteste, mi ritrovo adesso in mezzo a un’emergenza sanitaria globale.

Bandite le feste del capodanno cinese per il coronavirus

È ormai risaputo che il coronavirus si è sviluppato durante il mese di gennaio nella città cinese di Whuan, metropoli iper-moderna con 11 milioni di abitanti a circa 1000 km da Hong Kong. Il 23 gennaio Whuan è stata messa in quarantena per il rapido propagarsi di questo nuovo e pericoloso virus respiratorio.

Ad Hong Kong, tuttavia in quei giorni nessuno ancora parlava di coronavirus. L’allarme vero e proprio è arrivato poco prima del Capodanno cinese, che cadeva lo scorso 25 gennaio. Un periodo ideale per la diffusione dell’epidemia perché coincidente con il periodo delle vacanze, non solo in Cina, ma anche in molti altri paesi asiatici.

Il Capodanno cinese è infatti l’unico momento dell’anno in cui nessuno lavora. Scuole, aziende e fabbriche chiudono e tutti si spostano per raggiungere i propri familiari e festeggiare insieme. Un momento di felicità e condivisione che si è invece trasformato in un lugubre isolamento per il terrore di contagio. Pur registrando pochissimi casi di coronavirus, il governo locale ha annullato ogni tipo di festeggiamento. Bandite tutte le tradizionali sfilate, danze e feste cittadine.

coronavirus a Hong Kong

Scuole chiuse almeno fino al 2 marzo

L’Education Bureau (organo responsabile delle politiche educative ad Hong Kong), che inizialmente aveva deciso di chiudere tutte le scuole fino al 17 febbraio, ha da poco annunciato di averne prolungato la chiusura fino al 2 marzo. Per permettere ai ragazzi di continuare a studiare, quasi tutti gli istituti scolastici si sono organizzati con piattaforme di online learning, in modo da non interrompere il programma accademico. La situazione tuttavia, preoccupa molto i genitori che già lo scorso novembre avevano dovuto rinunciare a mandare i figli a scuola a causa delle proteste.

Anche gli uffici di molte aziende sono chiusi per ora fino al 9 febbraio e i manager stanno lavorando da casa, con evidenti disagi sull’economia economia locale.

Hong Kong città deserta, supermercati vuoti e mascherine esaurite

Hong Kong in questi giorni ha un aspetto fantasma: cinema, teatri, biblioteche sono chiusi. Tutti i mezzi pubblici e soprattutto l’efficientissima metropolitana, sono quasi deserti per il timore del contagio. Nelle strade del centro, solitamente brulicanti di gente, si contano pochi passanti, tutti muniti di mascherina singola o persino doppia.

I centri commerciali sono altrettanto semi vuoti ed i supermercati drammaticamente saccheggiati, perché tutti hanno fatto scorte di riso, pasta, cibi pronti e detergenti, temendo di non poter più uscire di casa. Fare la spesa online non è possibile in questi giorni, dato che i siti dei supermercati non hanno più slot di consegna e visto che alcuni sistemi sono “collassati” a causa dei troppi accessi online.

Anche le mascherine igieniche, ormai rese obbligatorie ovunque, sono esaurite in tutta la città. Qualcuno è riuscito ad acquistarne gli ultimi pezzi dopo lunghissime file mattutine davanti alle farmacie, pagando cifre spropositate per un singolo pezzo.

coronavirus a Hong Kong

Lo sciopero dei medici

In un quadro già complesso, bisogna aggiungere il fatto che al momento non tutti i collegamenti tra Hong Kong e la Cina “mainland” sono chiusi, dato che sarebbe impossibile bloccare totalmente la frontiera. Pertanto, molti cinesi, possibili portatori di virus, continuano arrivare in città.

Dopo gli eventi nefasti dell’epoca della Sars, in cui circa 300 cittadini morirono, i medici di Hong Kong hanno deciso di iniziare uno sciopero di cinque giorni a partire da lunedì tre febbraio, per protestare contro la mancata chiusura della frontiera con la Cina da parte del governo locale.

Gli italiani ad Hong Kong

La comunità di italiani residenti ad Hong Kong ha reagito in modo non univoco. Molti di noi hanno immediatamente deciso di rientrare in patria, memori dei tempi della Sars, durante i quali le scuole erano rimaste chiuse per ben sessanta giorni. Altri expat italiani, che desideravano rientrare, si sono visti chiudere improvvisamente i voli diretti tra Hong Kong e l’Italia e sono stati costretti ad optare per lunghi viaggi con scali a Londra, Francoforte o altre città europee. Alcuni hanno desistito, per evitare di passare molte ore tra aerei ed aeroporti, magari con bambini.

Io, al momento, ho deciso di restare qui. Fortunatamente non vivo sull’isola di Hong Kong, ma in una zona chiamata “New Territories” sulla terraferma. Il villaggio in cui vivo, Sai Kung, è una vera oasi di pace immersa nella natura. Da villaggio di pescatori, negli ultimi anni, si è evoluto in piccolo centro abitato da molti espatriati, alcuni dei quali hanno aperto attività commerciali. Qui la vita scorre tranquilla, la gente esce e frequenta negozi e ristoranti, sempre muniti di mascherine ovviamente, ma non si sono registrati per ora casi di coronavirus.

Reduce da un weekend in Vietnam, domenica due febbraio ho avuto timore di non riuscire a tornare a casa, dato che molti paesi limitrofi hanno chiuso i collegamenti aerei tra Cina e Hong Kong. Invece no, la nostra compagnia aerea volava regolarmente e una volta rientrata sono riuscita persino a fare la spesa senza problemi nei negozietti del villaggio.

Attività alternative in attesa del ritorno alla normalità

Dato il coronavirus a Hong Kong che ha cancellato molte attività sociali, incluse quelle dei centri sportivi e delle palestre, la vita “da reclusi” di questi tempi può diventare noiosa.

Io ne approfitto per rilassarmi e distogliermi dai pensieri negativi facendo lunghe camminate nella natura insieme ad altre amiche che hanno deciso di rimanere ad Hong Kong.

Sai Kung infatti vanta un immenso parco naturale chiamato Country Park  che si estende su 4500 ettari di terra, con magnifiche spiagge. Proprio il Country Park è il punto di partenza di moltissime escursioni, attività molto popolari ad Hong Kong, data la peculiare conformazione geografica del territorio. Inutile aggiungere che oltre ad essere un bell’esercizio fisico, tutte le escursioni regalano viste mozzafiato sulle baie limitrofe. Un pieno di serotonina, against all odds.

 

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