La notizia della “chiusura” della Lombardia (e adesso dell’Italia intera, ndc) a causa del coronavirus ha fatto il giro del mondo. In queste ultime settimane gli italiani all’estero si sono confrontati con una situazione destabilizzante. Talvolta hanno dovuto affrontare episodi di razzismo, altre sono stati trattati con sospetto. Innumerevoli sono stati gli interrogatori da parte di colleghi, insegnanti e interlocutori di ogni genere per capire la loro provenienza e i loro recenti contatti con persone potenzialmente “infette”.
Si sono moltiplicati sui social i racconti di italiani a cui sono stati negati appartamenti in affitto, altri a cui i coinquilini hanno chiesto di trovarsi un’altra sistemazione, mamme preoccupate che le feste di compleanno dei propri figli fossero disertate dai loro compagni, bambini messi in quarantena dalle scuole su pressione di genitori in preda all’isterismo.
Gli italiani sono diventati da un giorno all’altro gli untori d’Europa. Come si spiega?
Il coronavirus, inizialmente considerato come un pericolo lontano, che colpiva i paesi asiatici, ha creato inizialmente un clima di angoscia generalizzata in cui le persone hanno assunto comportamenti irrazionali. Svuotare i supermercati o fare incetta di mascherine e gel disinfettanti ne sono un esempio. Da che cosa è determinata l’angoscia? Dal fatto di sentirsi impotenti, di non riuscire a determinare la fonte del pericolo. Cos’è il coronavirus, da dove viene, chi ce lo può trasmettere…il nemico invisibile insomma. L’angoscia è quindi determinata dall’incertezza, dalla consapevolezza di essere in totale balia degli eventi, senza poter esercitare alcun controllo su di essi.
L’essere umano, in particolare nella nostra cultura occidentale, ha una naturale tendenza a evitare l’incertezza. Su questo hanno giocato gli altri paesi europei che, individuando nell’Italia la “fonte del pericolo”, hanno dato alle loro popolazioni la chiave per trasformare l’angoscia in paura.
Qual è la differenza tra angoscia e paura?
L’angoscia è caratterizzata dal fatto che non esiste un oggetto determinato di cui avere paura. La paura, invece, è un meccanismo di difesa fronte ad un oggetto determinato. Un esempio: vedo un incendio e scappo.
Il fatto di identificare un gruppo di persone determinate o un popolo come fonte di pericolo ha, quindi, permesso a molti paesi europei di uscire da quello stato di angoscia e incertezza in cui è così difficile vivere. Identificare il pericolo significa allora rientrare in una dimensione di controllo, avere la possibilità di difendersi, prendere misure e precauzioni mirate. Poco importa che l’oggetto del pericolo identificato sia reale o meno, la nostra mente, in cerca di certezze, ne risulta sollevata.
Come reagire?
Proprio in questi giorni iniziano a trapelare notizie che confermano come il virus fosse già da tempo in circolazione anche negli altri paesi europei e che semplicemente i casi non erano stati riconosciuti per via della loro somiglianza a normali stati influenzali. Questa convinzione che gli italiani siano gli untori d’Europa, quindi, non tarderà molto a sgonfiarsi.
Ciò non toglie che la situazione che stanno vivendo molti italiani all’estero sia spiacevole. Essere trattati come “appestati” non è certo una bella sensazione. Ciò che stiamo vivendo, però, può farci riflettere sul comportamento da noi spesso tenuto nei confronti di altri popoli e di altre etnie. Sperimentare il rifiuto sulla propria pelle può farci crescere e aiutarci a diventare delle persone migliori.
Utilizziamo allora questo tempo di quarantena sociale per meditare, per fare passeggiate nei boschi quando è possibile, per leggere, per nutrire la nostra anima, per ritrovare il senso della vita e la nostra strada maestra, in modo da essere pronti quando si tornerà alla normalità.
Ma cos’è la normalità? Per ognuno di noi qualcosa di diverso, certo, ma sarebbe bello che in ogni normalità ci fosse sempre posto per l’umanità.