Emergenza coronavirus in Argentina. Un’italiana a Buenos Aires racconta
Monica Tortora

Monica Tortora

Ho 48 anni vivo da un anno a Buenos Aires dove ho deciso di dare una svolta alla mia vita. Mi sono iscritta alla facoltà di "Turismo rural" presso la FAUBA e sogno di lavorare nell'ambito del turismo ecosolidale e sostenibile in Argentina.

È emergenza coronavirus in Argentina. Il Paese è il primo del continente americano a decretare la quarantena obbligatoria per tutti i cittadini. Le misure restrittive, annunciate dal Presidente Alberto Fernandez in accordo con l’opposizione, sono entrate in vigore alla mezzanotte del 19 marzo e lo resteranno almeno fino al 31 di questo mese. I casi di contagio, comparati con quelli dei paesi europei sono pochi, 129 con tre decessi al momento, ma l’evidenza della velocità con cui si diffonde la malattia ha indotto il governo a guadagnare tempo.

Buenos Aires è parzialmente svuotata. La città che è sempre in fermento è costretta a tirare il freno a mano per cercare di arginare gli effetti dell’arrivo del Covid-19. Prima dell’entrata in vigore dello stato d’emergenza già molti cittadini si erano responsabilmente attenuti alla campagna #yomequedoencasa (io resto in casa). Quello che fino a ieri era un suggerimento ora è un dovere. Nessuno può uscire se non per fare la spesa o andare in farmacia e con le dovute precauzioni.

In questo momento storico nefasto in cui l’Italia, e a ruota l’Europa intera e il mondo, si ritrovano ad affrontare una sfida senza precedenti, noi che siamo tra gli espatriati geograficamente più lontani seguiamo la situazione con molta apprensione e ansia restando in contatto con amici e familiari grazie alla tecnologia. Nei gruppi di italiani a Buenos Aires si scambiano sensazioni, ci si offre supporto psicologico per cercare di sopportare la preoccupazione per la situazione che minaccia i nostri cari in Patria. Ci emozioniamo fino alle lacrime nel vedere i nostri connazionali cantare e suonare dalle finestre.

Il coronavirus in Argentina e la solidarietà verso gli italiani

A Buenos Aires l’emergenza coronavirus all’inizio è stata vissuta con un velato timore, le rassicurazioni che arrivavano anche da esperti del settore ci facevano stare in allerta ma senza particolari ansietà. Ma più sono passati i giorni e più gli avvenimenti drammatici hanno cambiato il panorama che ci veniva descritto in un una diretta-live della paura fatta di pillole quotidiane. Il mosaico formato dalle chiamate e dai messaggi sempre più preoccupati e preoccupanti dei nostri cari e dalle notizie del web, con numeri impietosamente in aumento, ci hanno precipitato nella più assoluta sensazione di impotenza per ciò che stava succedendo oltreoceano ai nostri affetti.

In questa drammatica escalation di numeri, essendo l’Argentina un paese con molti legami con l’Italia, ho da subito notato un sincero interesse e un totale rispetto per gli sforzi in atto da parte del nostro Paese nella guerra contro il virus. Gli argentini hanno seguito con trasporto le vicende italiane, pensando insieme a noi “tanas” e “tanos” (così vengono chiamati gli italiani da queste parti) lontani da casa e sostenendoci con parole di conforto.

La lontananza ha illuso per poco di essere al sicuro

In generale il contagio da coronavirus in Argentina veniva visto come qualcosa di lontano e quasi inoffensivo, pur essendo tenuto in seria considerazione. La posizione geografica “alla fine del mondo” ci ha fatto illudere per un breve periodo di tempo di essere al riparo dal covid-19, ma in breve si ha avuto la coscienza che la globalizzazione avrebbe potuto tranquillamente portare il virus fino a questa latitudine perché questo periodo dell’anno coincide con le vacanze estive argentine, fatto che favorisce un intenso traffico di passeggeri con il vecchio continente.

La coscienza di essere a rischio nonostante la lontananza dall’epicentro dell’epidemia ha portato cittadini e autorità argentine a un atteggiamento opposto a quello “attendista”, tenuto da molti paesi vicini di casa dell’Italia. Una consapevolezza che ha permesso al governo di Buenos Aires di iniziare a prendere le prime forti misure di contenimento della pandemia, nonostante un numero di contagiati basso rispetto all’Italia e all’Europa. Si spera che questo agire tempestivo possa limitare l’epidemia in quanto l’Argentina non ha sicuramente i mezzi messi in campo dai paesi europei e un’espansione dei contagi a larga scala sarebbe davvero drammatica.

Tutto chiuso e sospeso anche il campionato di calcio

Passando alla cronaca del corona virus c’è da riconoscere al governo argentino la sua massima attenzione al problema da subito, le date ci parlano: il primo caso si è manifestato il 3 marzo, in un uomo di rientro dall’Italia, il 5 marzo il secondo caso nella provincia del Chaco, il 7 marzo arriva la notizia del primo morto, mentre il 13 marzo muore il secondo contagiato. I due deceduti erano persone con precedenti problemi di salute.

A partire da questi casi, tutti “importati” da viaggi in Europa e USA si è assistito ad una escalation lenta ma costante che ha messo in allerta le autorità. Man mano che andava delineandosi uno scenario mondiale di pandemia le misure di contenimento del virus hanno preso sempre più consistenza. Già domenica 15 marzo il Presidente Alberto Fernandez aveva decretato la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, la concessione della licenza dal lavoro per i lavoratori a rischio e la chiusura delle frontiere.

Il 24 marzo sarà il “Giorno della Memoria” ma la grande manifestazione che ogni anno viene organizzata per ribadire il “Nunca más” (mai più) alla dittatura è stata sospesa, rimandata a tempi migliori.

Anche il calcio, una delle attività imprescindibili della nazione, era già stato fermato, con buona pace dei tifosi di River, Boca, Racing, San Lorenzo.

Frontiere sbarrate 

Le frontiere in entrata sono state chiuse ed entrano solo i rimpatriati argentini sparsi nel mondo. Dal 19 marzo voli e trasferimenti in autobus di lunga distanza all’interno del paese sono sospesi, mentre a Buenos Aires sono soppresse le fermate intermedie della in metropolitana ed è concesso viaggiare esclusivamente seduti da un capolinea all’altro con limitata possibilità di trasbordo nelle fermate di interconnessione ad altre linee della metro. Lo stesso vale per gli autobus e i treni: in piedi è proibito viaggiare.

In tutta questa mobilitazione di lotta preventiva c’è da registrare una serie di episodi deplorevoli. Dopo la prima presa d’assalto ai supermercati in città e nelle varie provincie, ci sono stati numerosi casi di infrazione della quarantena obbligatoria per le persone rientrate dall’Europa e dagli USA. Rischiano da 3 a 15 anni di carcere.

Nella lotta alla pandemia ci si augura che tutti rispondano adeguatamente alle campagne sociali di invito a stare in casa e di stare a distanza di sicurezza, “yo me quedo en casa”(io resto in casa) e “si no te abrazo es porque te quiero” (se non ti abbraccio è perché ti voglio bene).

Gli argentini sono molto fisici, amano toccarsi, baciarsi quando si incontrano, prendere il mate in condivisione e devo dire che per ora ho notato l’abbandono immediato di queste belle abitudini tanto radicate, mentre sul rimanere in casa in previsione del ponte del 24 marzo ci si augura che non ci siano movimenti di massa verso le località di villeggiatura da parte di quelle persone che ancora non capiscono la gravità della situazione.

 

ALTRI ARTICOLI