museo white rabbit barcellona
Il nuovo museo White Rabbit di Barcellona espone l’opera dello street artist italiano più noto al mondo: TvBoy si racconta

A Barcellona ha aperto le porte da poche settimane un museo molto peculiare perché, più che esporre opere d’arte, invita il visitatore a toccarle con mano attraverso un divertente percorso, ricco di esperienze immersive e interattive. Il museo in questione si chiama White Rabbit, si trova nel centralissimo Paseo de Gracia e la prima opera che accoglie il pubblico al suo arrivo è del palermitano TvBoy, alias Salvatore Benintende, steet artist salito alla ribalta delle cronache nel 2017 grazie al murale “Love is blind”, che raffigura il bacio tra Messi e Ronaldo.

museo white rabbit barcellona

Il museo, con oltre 1200 metri quadrati di superficie, ospita dieci installazioni artistiche che promuovono la cultura catalana ed è godibile tanto dal pubblico locale quanto dai turisti. Il nome White Rabbit è un omaggio al mondo magico creato da Lewis Carroll per la sua Alice, perché il visitatore, di sala in sala, scopre meraviglie create da artisti di ogni nazionalità, ma tutti legati in qualche modo alla città.

museo white rabbit barcellona

Dallo storico gruppo teatrale catalano, Fura dels Baus, all’arte digitale e immersiva dei futuristi Onionlab, Seeds XR e Vitamin Studio, fino alla scultura di Carles Piera e alla Street Art di TvBoy il museo incoraggia il visitatore a sperimentare, toccare, fotografare e persino ballare. Ci si entra con la curiosità dei bambini e si esce sorridendo.

museo white rabbit barcellona

In occasione dell’inaugurazione noi abbiamo chiacchierato con l’italianissimo TvBoy, artista da oltre un milione di follower su Instagram, che con grande umiltà e simpatia ci ha raccontato il percorso che dalla strada lo ha portato alla fama internazionale, fino al museo White Rabbit.

Classe 1980, Salvatore Benintende cresce a Milano dove si laurea in Design al Politecnico. Un Erasmus in Spagna gli fa conoscere la donna che diventerà sua moglie e per lei, nel 2005, si trasferisce a Barcellona. Ma è nel 2017, anno in cui nasce sua figlia, che la carriera dello street artist italiano mette le ali.

“Love is blind” è la tua prima opera di grande successo. Come è nata?

Quest’opera ha dato una svolta alla mia carriera dal punto di vista della fama internazionale, ma mi ha anche trasmesso un modus operandi. Era il giorno della partita Madrid-Barça che in quell’occasione coincideva con la festa di Sant Jordi, giornata del libro e della rosa che secondo la tradizione catalana è dedicata agli innamorati. Io volevo lanciare un messaggio inclusivo contro l’omofobia e anche contro la violenza sugli in spalti, così ho usato la rivalità tra questi due giocatori, che era sempre stata molto mediatica, per trasmettere l’idea che le rivalità per un giorno si possono dimenticare. Da lì in poi ho cominciato a pensare molto di più al concetto delle mie opere, al momento e al luogo in cui le realizzavo. Sono andato a Roma a dipingere il bacio tra il Papa e Trump in occasione del loro incontro e poi mi hanno invitato in Ucraina, dove ho dipinto dei bambini, perché credo che siano loro la nostra unica speranza.

Tu da bambino già sognavi di dipingere?

Proprio ieri ho fatto una conferenza in una scuola e ho fatto vedere una foto di me da piccolo con mio papà. Spiegavo ai bambini che quando avevo sei anni mio padre, che ora è in pensione ma era professore di pittura, aveva dipinto la parete della mia cameretta con degli animali. Io credo che la passione per i murales mi sia venuta in quel momento.

Però non hai fatto studi artistici, come mai?

Mio padre non voleva, diceva che molti dei suoi studenti alla fine perdevano la passione, così ho fatto studi scientifici e poi mi sono laureato in design al Politecnico di Milano e devo dire che questa scelta mi ha aiutato. In fondo, io penso alle mie opere come a dei progetti di comunicazione e sono sicuro che ci siano pittori molto più bravi di me. Io cerco di comunicare delle emozioni o delle riflessioni attraverso le mie opere in modo da innescare un dibattito o un dialogo.

Cosa significa pere te avere il tuo “Love is blind” all’interno del Museo White Rabbit?

A distanza di sette anni dal bacio tra Messi e Ronaldo (che poi qualcuno aveva smontato e rubato) tornare a riproporre l’opera dentro a un museo per me significa che finalmente la Street Art viene riconosciuta. Prima, quando dipingevo per strada spesso mi insultavano. All’inizio prendevo un sacco di multe e denunce e mi sequestravano i materiali. La gente ci chiamava “i vandali”. Adesso, anche grazie alla notorietà data dai social, la gente mi ferma, mi chiede il selfie o l’autografo. Molti mi fanno i video mentre lavoro, cosa che non mi piace perché mi “taglia un po’ il mood”. Preferisco svelare l’opera quando è finita, però non posso impedirlo. In ogni caso è una cosa bellissima, credo di stare vivendo un sogno.

Che nuovi progetti ti attendono adesso?

La mia prima mostra ufficiale si è tenuta al Mudec (Museo delle Culture) di Milano nel 2021, nell’estate del 2023 l’ho portata al museo del Design di Barcellona e ora stiamo lavorando per portarla, nell’ottobre 2024, in un museo di Los Angeles. Quando questo succederà per me sarà davvero un grande salto, significherà portare la mia arte dall’altra parte del pianeta. È un momento speciale di tanto lavoro, ma anche di tanta soddisfazione personale.

C’è qualcuno a cui ti senti di dire grazie?

 Sì. Devo dire grazie ai miei genitori e a mia moglie per avermi sopportato, ma anche alla strada perché è stata la mia vetrina: se avessi scelto di fare una carriera come un artista più tradizionale probabilmente non avrei avuto la popolarità che ho adesso. Il fatto di decidere di regalare i miei lavori senza chiedere nulla in cambio, credo che sia stato un atto di generosità che poi mi ha portato delle cose belle nella vita, mi ha dato indietro tanto.

Il fatto di essere italiano l’hai vissuto come un limite o come una cosa positiva?

All’inizio della mia carriera lo percepivo come un limite, perché io parlo un inglese maccheronico e notavo di essere trattato con un po’ di distanza. Più avanti, invece, l’ho ritenuto un punto di forza. Nelle mie opere cerco sempre di citare i grandi maestri del nostro Paese come Leonardo, Michelangelo o Caravaggio. Ho pensato che a volte noi italiani siamo troppo critici con noi stessi, ci sentiamo spesso inferiori, mentre dovremmo trarre forza dal nostro patrimonio artistico, che è unico al mondo. Siamo creativi e soprattutto abbiamo tanta passione. Io mi sento sempre un bambino, con quello stupore che hanno i bambini davanti a un’esperienza o a un viaggio. Siamo un popolo che questa passione la trasmette anche nella cucina, nella ristorazione e questo è il nostro punto di forza.

Ti chiamano il Banksy di Barcellona, ti piace o ti infastidisce?

Mi chiamano il Banksy di Barcellona a Barcellona, il Banksy d’Italia in Italia, il Banksy di Spagna in Spagna e all’inizio mi lusingava perché lui era il mio artista preferito, l’artista numero uno, “il Picasso della Street Art”. Però, ora sento la necessità di tagliare questo legame perché ognuno deve trovare la sua identità, quindi non voglio essere la replica di un artista che ha già fatto la storia, voglio trovare un percorso mio ed è arrivato il momento in cui l’allievo deve, non dico superare il maestro, però trovare la sua strada.

Come mai  ti firmi TvBoy, cosa ti è piaciuto di questo nome?

TvBoy mi piace perché mi chiamo Salvatore Benintende, che è lunghissimo e poi il graffitaro non può firmare col suo vero nome, perché fa un atto non autorizzato. TvBoy era facile da ricordare e inoltre simboleggia quelli della mia generazione, cresciuti negli anni Ottanta guardando tantissima televisione. Ma non solo: io un po’ mi sento “la Tv del mondo” perché prendo le notizie di attualità e le reinterpreto secondo i miei canoni. Per me l’arte non può non essere contemporanea, tutti gli artisti hanno raccontato il loro momento, io voglio raccontare il nostro.

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