We hate pink
We Hate Pink, la piattaforma contro gli stereotipi sulle donne creata da un’italiana
Patrizia La Daga

Patrizia La Daga

Giornalista milanese, co-fondatrice di ItalianiOvunque.com. Si è sempre occupata di temi economici, sociali e culturali e ha condotto trasmissioni televisive su emittenti private. Dal 1999 risiede in Spagna, a Barcellona, dove per alcuni anni ha fondato e diretto la rivista a diffusione nazionale "Ekò", specializzata nella new economy. Nel 2012 ha creato Leultime20.it, sito dedicato ai temi letterari e culturali. Dal 2018 organizza e presenta l'evento di storytelling motivazionale Leadership Arena con grandi personaggi italiani e spagnoli. Leggere, viaggiare e fare sport sono le sue grandi passioni (dopo i suoi due figli).

Quando una donna di marketing e una mamma startupper, entrambe foggiane e amiche dai tempi del liceo, si incontrano per raccontarsi la vita, possono nascere progetti ambiziosi. È accaduto lo scorso anno quando Rossella Forlè, marketing specialist di Cannes Lions, il più grande evento al mondo dedicato alla creatività e l’amica imprenditrice Valentina Cianci, si sono ritrovate a confrontarsi sui rispettivi percorsi professionali, mettendo in evidenza le difficoltà che le donne devono spesso affrontare per fare carriera. È nata così We Hate Pink (noi odiamo il rosa), la piattaforma che vuole diventare un punto di riferimento per le donne che vogliono crearsi il proprio futuro e non si arrendono allo stereotipo che le vede in minoranza nei posti di potere, ostacolate nell’ottenere promozioni e con stipendi inferiori a quelli degli uomini. Una community a cui le donne di tutte le età e in tutte le posizioni professionali possono fare riferimento per trovare modelli femminili da seguire e suggerimenti mirati per la propria carriera.

Dietro le quinte di We Hate Pink: un percorso internazionale

Da Londra, dove risiede da ormai quasi sei anni, Rossella Forlè racconta il suo cammino professionale, che prima di sfociare nell’avventura di We Hate Pink l’ha vista muovere i primi passi professionali nell’editoria, per poi consolidare la sua esperienza nel marketing. Racconta la protagonista:

Il mio sogno quando frequentavo l’Università a Perugia era lavorare nel settore editoriale quindi, dopo la laurea in Scienze della Comunicazione, ho fatto un master a Londra in marketing per l’editoria. Una volta terminati gli studi ho iniziato a lavorare per riviste d’arte come assistente editoriale e nel 2007 mi sono spostata a Panama City perché l’editore voleva capire se il prodotto poteva funzionare in centro e sud America. Lì sono rimasta tre anni e ho avuto modo di entrare in contatto con la vita artistica locale, che credevo molto limitata e invece era super florida.

Voglia di cultura europea

Nel 2010 il richiamo della vecchia Europa e la lontananza dalla famiglia si fanno sentire sulla giovane manager, tanto che decide di tornare in Italia, sebbene sappia che le possibilità di trovare lavoro sono più ridotte. Spiega Rossella Forlè:

Mi sentivo troppo distante da casa, dove tornavo al massimo due volte l’anno, e poi mi mancava la cultura europea. Così ho deciso di tornare a Roma, dove avevo già vissuto. Dopo aver letto un annuncio sul sito del Messaggero ho inviato il mio Cv. Cercavano un marketing assistant, non era editoria, ma ho rispolverato le mie competenze di marketing e dopo tre colloqui sono stata presa. Sono rimasta due anni e poi sono passata a Repubblica per altri due.

Ma l’esperienza italiana, per quanto utile si rivela più complicata del previsto:

Nel 2014 mi sono resa conto che in Italia le possibilità di crescita erano troppo lente e limitate perciò ho deciso di trasferirmi a Londra dove ho cominciato a lavorare, sempre nel marketing, per Ascential Group, compagnia che si occupa di eventi per professionisti. Mi sono dedicata prima al World Architecture Festival, una sorta di Oscar per i migliori progetti mondiali di architettura e due anni fa sono diventata marketing specialist dell’evento evento Cannes Lions che continuo a seguire parallelamente all’attività imprenditoriale con We Hate Pink.

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Rossella Forlè in versione bionda.
L’ispirazione per We Hate Pink

Lavorare in ambito pubblicitario e avere spesso a che fare spesso con il mondo delle startup tecnologiche e quello finanziario della City fa sì che Rossella Forlè si renda sempre più conto degli squilibri esistenti tra il mercato professionale maschile e quello femminile. Spiega l’imprenditrice italiana:

In ambito tech e in ambito pubblicitario la presenza delle donne è forte a livello Junior ma è molto limitata tra i professionisti senior e più si raggiungono posizioni di vertice, più il numero di donne diminuisce. Mi sono confrontata con donne di tutto il mondo e quelle che hanno avuto successo ripetono la stessa cosa: “Ero sempre l’unica donna nella stanza e ho avuto sempre difficoltà nel portare avanti le mie idee perché donna”. Molte professioniste raccontano che sono state costrette a scegliere tra la carriera e la maternità, perché in azienda veniva detto loro, più o meno esplicitamente, che se volevano fare un figlio dovevano scordarsi la promozione.

Testimonianze che purtroppo non sono nuove per le donne italiane. Nel nostro Paese, secondo i dati forniti dall’Associazione Valore D, se si considera solo il settore privato, la differenza salariale tra uomini e donne è del 17,9% a parità di ore lavorate.  Ma il problema non è solo del Bel Paese, come spiega Rossella Forlè:

È un lamento generalizzato e non un problema solo italiano. Così è nata l’idea di We Hate Pink, che vuole distruggere gli stereotipi nel mondo del lavoro. Nella nostra piattaforma intervistiamo donne che hanno già raggiunto un ottimo livello di carriera, che sono già delle leader e che diventano dei modelli di riferimento. Chiediamo loro quali sono stati i problemi e i fallimenti che hanno dovuto affrontare per arrivare dove sono oggi.

Gli eventi offline e la mentorship per le donne

Il progetto We Hate Pink prevede che ogni quattro mesi vengano organizzati degli eventi, tra Londra, Milano e più avanti Roma, in cui donne leader che lavorano nel tech, nel mondo creativo o nei media saliranno sul palco per raccontare le loro esperienze ed essere di supporto ad altre donne. Il primo si terrà il 2 maggio a Londra, sebbene ci sia già stata una prova generale lo scorso marzo a Milano in collaborazione con gli Stati Generali delle Donne, organizzazione italiana che si occupa di lavorare con le istituzioni.

Il costo di partecipazione alla conferenza di We Hate Pink è simbolico, 10 sterline, solo per garantire la presenza del pubblico. Rossella Forlè, infatti, non pensa agli eventi come un modello di business “scalabile”. Spiega l’imprenditrice:

Per noi gli eventi sono importanti per creare una comunità anche offline. Nell’evento lanceremo un mentorship program. Le sei speaker che parteciperanno al primo talk londinese hanno già dato la loro disponibilità. Crediamo che sia importante, oltre ai contenuti, offrire anche un appoggio concreto. Con me i programmi di mentorship hanno funzionato tantissimo. I migliori modelli li ho avuti dalle mie boss. Nel rapporto tra donne è più facile avere dei consigli rilevanti perché è più facile riconoscersi. Abbiamo anche intenzione di inserire contenuti utili per le mamme in carriera.

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Il branding rosa non è una contraddizione

La piattaforma We Hate Pink, lanciata quattro mesi fa e che oggi è fruibile gratuitamente, nelle intenzioni delle sue fondatrici, a partire da maggio, dovrebbe rendere almeno una parte dei suoi contenuti a pagamento. L’idea è quella di vendere l’accesso alle aziende in modo che possano fornire i contenuti alle loro dipendenti.

Nonostante il nome che dichiara odio per il rosa, quando si accede al sito di We Hate Pink si scopre che il branding è proprio… rosa. Una contraddizione? Non secondo la sua brillante creatrice, che spiega:

Noi odiamo la generalizzazione e l’utilizzo del rosa per stereotipare le donne. Ci battiamo contro lo stereotipo che non ha permesso alle donne di crescere, che ci ha limitate. Ma è lo stereotipo che ci ha limitate, non il colore, che è molto bello. Noi cerchiamo di distruggere il significato che è stato attribuito al colore, ovvero quello della donna solo dolce, indifesa e bisognosa della protezione maschile.

Un’italiana a Londra in tempi di Brexit

Da italiana residente a Londra, Rossella Forlè ammette che molti degli obiettivi professionali da lei raggiunti nel Regno Unito avrebbero richiesto molto più tempo nel nostro paese:

In Inghilterra si va avanti grazie al talento, indipendentemente dal background familiare o culturale. Io adoro il modo di vivere degli inglesi, il fatto che qui tutto sia ben organizzato rende la vita più semplice. A Londra le persone sentono la responsabilità del far parte di un sistema. Contribuire affinché questo funzioni viene visto come una cosa positiva, quindi rispettare le regole non è “da sfigati”, come si pensa in Italia.

Nonostante i tanti lati positivi della vita a Londra, il momento contingente, determinato dall’incertezza per il Brexit, viene vissuto con timore:

Io sono stata molto delusa . Per me il Regno Unito è sempre stato un paese aperto e accogliente. Adesso, invece, vedo molti stranieri andarsene. Io ho un permesso di residenza permanente, ma non so se poi mi serviranno altri documenti per restare. A me spaventa quello che potrebbe accadere a livello economico nel futuro, si preannunciano anni complessi e di certo non positivi. Per questo credo che We Hate Pink abbia ancora più senso in un momento come questo. Quando ci sono delle crisi in un paese, sono sempre le donne quelle che soffrono di più.

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