
L'estate è... tutto quello che vogliamo che sia. Mare, sole, un'isola su cui tornare, ma anche nuovi incontri o sentirsi più giovani. Tutto questo e molto di più si riflette nelle pagine degli scrittori. Per soddisfare i lettori più accaniti abbiamo creato questa galleria con 12 libri per l'estate 2019. 12 titoli abbinati alle sensazioni che ci regala la stagione più bella dell'anno. Pronti a scoprirli?

L’estate è… sentirsi giovani.
Connell e Marianne si conoscono da ragazzi, frequentano la stessa scuola in un piccolo paese dell’Irlanda, Carricklea. Mentre Connell è benvoluto e amato nella comunità scolastica, Marianne vive ai margini della stessa, tanto che il primo decide di tener nascosta la loro relazione per non perdere la simpatia e il fascino presso i compagni. Si ritrovano a Dublino, entrambi iscritti al Trinity College, dove però la situazione è ribaltata: Marianne è pienamente a suo agio anche in virtù delle condizioni economiche agiate in cui versa; Connell si sente a disagio e ha perso tutto il suo appeal nella comunità universitaria. La loro attrazione è fatale, tormentata da forze emotive e fattuali, che ora li spingono a stare insieme e ora a distaccarsi, analizzata con potenza introspettiva e dai risvolti mai scontati. Con “persone normali” (tradotto in italiano magistralmente da Maurizia Balmelli per Einaudi) Sally Rooney dimostra di meritare in pieno la fama di una delle voci più acute e penetranti del nuovo millennio, conquistata con il precedente “Parlarne tra amici”.
Connell e Marianne si conoscono da ragazzi, frequentano la stessa scuola in un piccolo paese dell’Irlanda, Carricklea. Mentre Connell è benvoluto e amato nella comunità scolastica, Marianne vive ai margini della stessa, tanto che il primo decide di tener nascosta la loro relazione per non perdere la simpatia e il fascino presso i compagni. Si ritrovano a Dublino, entrambi iscritti al Trinity College, dove però la situazione è ribaltata: Marianne è pienamente a suo agio anche in virtù delle condizioni economiche agiate in cui versa; Connell si sente a disagio e ha perso tutto il suo appeal nella comunità universitaria. La loro attrazione è fatale, tormentata da forze emotive e fattuali, che ora li spingono a stare insieme e ora a distaccarsi, analizzata con potenza introspettiva e dai risvolti mai scontati. Con “persone normali” (tradotto in italiano magistralmente da Maurizia Balmelli per Einaudi) Sally Rooney dimostra di meritare in pieno la fama di una delle voci più acute e penetranti del nuovo millennio, conquistata con il precedente “Parlarne tra amici”.

L’estate è… un’isola in cui tornare
Con “Tutto sarà perfetto” Lorenzo Marone torna in libreria per la felicità dei tanti lettori che lo seguono dallo strepitoso successo di “La tentazione di essere felici”. Se nel corso dei precedenti romanzi, aveva sorpreso il lettore con protagonisti di volta in volta nuovi, trattati con delicatezza e con il tono tragicocomico che lo contraddistingue e lo connota, dal settantenne Cesare Annunziata al giovane Mimì, passando per il trentenne Erri e la coraggiosa Luce, voce femminile che traccia mirabilmente senza cadere in nessuno stereotipo, con il nuovo romanzo a sorprendere i lettori affezionati non è il protagonista, il fotografo quarantenne Andrea, né i temi che tornano, anche se con una luce diversa dai precedenti, ma l’ambientazione: non più l’amata Napoli, di cui ha saputo donare colori e rumori non usuali né usurati, muovendosi con convinzione tra le diverse anime della città, dalle zone borghesi ai quartieri spagnoli, ma l’isola di Procida, gabbia e rifugio, porto di partenza e punto di ritorno per i personaggi, sempre straordinari, con cui Lorenzo Marone bussa al cuore del suo pubblico.
Con “Tutto sarà perfetto” Lorenzo Marone torna in libreria per la felicità dei tanti lettori che lo seguono dallo strepitoso successo di “La tentazione di essere felici”. Se nel corso dei precedenti romanzi, aveva sorpreso il lettore con protagonisti di volta in volta nuovi, trattati con delicatezza e con il tono tragicocomico che lo contraddistingue e lo connota, dal settantenne Cesare Annunziata al giovane Mimì, passando per il trentenne Erri e la coraggiosa Luce, voce femminile che traccia mirabilmente senza cadere in nessuno stereotipo, con il nuovo romanzo a sorprendere i lettori affezionati non è il protagonista, il fotografo quarantenne Andrea, né i temi che tornano, anche se con una luce diversa dai precedenti, ma l’ambientazione: non più l’amata Napoli, di cui ha saputo donare colori e rumori non usuali né usurati, muovendosi con convinzione tra le diverse anime della città, dalle zone borghesi ai quartieri spagnoli, ma l’isola di Procida, gabbia e rifugio, porto di partenza e punto di ritorno per i personaggi, sempre straordinari, con cui Lorenzo Marone bussa al cuore del suo pubblico.

L’estate è… riflessione sulle proprie origini
Claudia Durastanti è “La straniera”: straniera nel piccolo paese lucano in cui torna con la madre, straniera in America dove è nata e tornata a vivere a più riprese, straniera sempre nella lingua e nelle abitudini, nello sguardo verso il mondo. Condizione originaria perché entrambi i genitori sono sordi e la relazione con loro ha sempre avuto un ritmo sincopato e una natura particolare. “La straniera”, pubblicato da La nave di Teseo e nella Cinquina del Premio Strega, è un libro di rara e unica bellezza, sporcato da una lingua che si innalza e si imbastardisce, mosso su un equilibrio perfetto e inusuale tra interno, intimo, privato ed esterno, oggettivo, pubblico. Dentro c’è una portentosa dichiarazione d’amore ai genitori, alla letteratura, alla musica, al cinema, in sintesi alla vita con tutti i suoi incantamenti e incatenamenti, e in assoluto a ciò che si è o meglio a ciò che si diventa per quello che si è.
Claudia Durastanti è “La straniera”: straniera nel piccolo paese lucano in cui torna con la madre, straniera in America dove è nata e tornata a vivere a più riprese, straniera sempre nella lingua e nelle abitudini, nello sguardo verso il mondo. Condizione originaria perché entrambi i genitori sono sordi e la relazione con loro ha sempre avuto un ritmo sincopato e una natura particolare. “La straniera”, pubblicato da La nave di Teseo e nella Cinquina del Premio Strega, è un libro di rara e unica bellezza, sporcato da una lingua che si innalza e si imbastardisce, mosso su un equilibrio perfetto e inusuale tra interno, intimo, privato ed esterno, oggettivo, pubblico. Dentro c’è una portentosa dichiarazione d’amore ai genitori, alla letteratura, alla musica, al cinema, in sintesi alla vita con tutti i suoi incantamenti e incatenamenti, e in assoluto a ciò che si è o meglio a ciò che si diventa per quello che si è.

L’estate è… follia
“Fuori per sempre”, come recita la quarta di copertina, è stato scritto in riva al lago ghiacciato, nella Svizzera italiana, dove si svolge una parte del romanzo, il luogo in cui Doris Femminis da qualche anno ha scelto di abitare, con la famiglia: un altipiano magico, dove si può vivere con meno, lavorare part time e scrivere di più. Il frutto di questa scelta è l’accorato e tagliente romanzo pubblicato da Marcos y Marcos. Una storia movimentata e corale, in cui lo sguardo femminile è preponderante. Donne in bilico, che si tormentano nelle scelte e vivono a disagio nella realtà e nell’esistenza. Donne forti, che si piegano senza arrendersi. Una lingua piena di sfumature come i sentimenti e le relazioni che racconta, in un’altalena che vira al tragico senza mai perdere la forza e l’adesione a se stessa.
“Fuori per sempre”, come recita la quarta di copertina, è stato scritto in riva al lago ghiacciato, nella Svizzera italiana, dove si svolge una parte del romanzo, il luogo in cui Doris Femminis da qualche anno ha scelto di abitare, con la famiglia: un altipiano magico, dove si può vivere con meno, lavorare part time e scrivere di più. Il frutto di questa scelta è l’accorato e tagliente romanzo pubblicato da Marcos y Marcos. Una storia movimentata e corale, in cui lo sguardo femminile è preponderante. Donne in bilico, che si tormentano nelle scelte e vivono a disagio nella realtà e nell’esistenza. Donne forti, che si piegano senza arrendersi. Una lingua piena di sfumature come i sentimenti e le relazioni che racconta, in un’altalena che vira al tragico senza mai perdere la forza e l’adesione a se stessa.

L’estate è… piacere
…il piacere di leggere una voce piena e corposa come quella di Patrizia Rinaldi in una storia intrigante e ben strutturata come quella di “La danza dei veleni” per E/O che vede il ritorno di Blanca, la detective ipovedente già protagonista di tre avventure: “Tre, numero imperfetto”, “Blanca” e “Rosso caldo”. Il caso che deve seguire è l’omicidio di due veterinari idealisti e coraggiosi, che si intreccia con quelli misteriosi di proprietari di negozi di animali a causa del morso di ragni velenosi. In “La danza dei veleni” la ricchezza introspettiva dei personaggi e la felicità piena dei dialoghi dà alla lettura la giusta dimensione di profondità e riflessione sul mondo che ci circonda, sulle relazioni umane e la molteplicità delle reazioni emotive. Il piacere viene dalla trama, non scontata né banalizzata per far trionfare il bene e il consueto, ma strutturata su incastri perfetti e tasselli ben composti e architettati. La realtà è viva e presente nelle pagine ma sempre intimamente vissuta dai comportamenti e dalle reazioni dei personaggi. Non un racconto in oggettiva come spesso avviene nei gialli, ma un racconto in soggettiva, quella molteplice e varia dei diversi personaggi, che rende “La danza dei veleni” un romanzo di indagine in senso lato e universale
…il piacere di leggere una voce piena e corposa come quella di Patrizia Rinaldi in una storia intrigante e ben strutturata come quella di “La danza dei veleni” per E/O che vede il ritorno di Blanca, la detective ipovedente già protagonista di tre avventure: “Tre, numero imperfetto”, “Blanca” e “Rosso caldo”. Il caso che deve seguire è l’omicidio di due veterinari idealisti e coraggiosi, che si intreccia con quelli misteriosi di proprietari di negozi di animali a causa del morso di ragni velenosi. In “La danza dei veleni” la ricchezza introspettiva dei personaggi e la felicità piena dei dialoghi dà alla lettura la giusta dimensione di profondità e riflessione sul mondo che ci circonda, sulle relazioni umane e la molteplicità delle reazioni emotive. Il piacere viene dalla trama, non scontata né banalizzata per far trionfare il bene e il consueto, ma strutturata su incastri perfetti e tasselli ben composti e architettati. La realtà è viva e presente nelle pagine ma sempre intimamente vissuta dai comportamenti e dalle reazioni dei personaggi. Non un racconto in oggettiva come spesso avviene nei gialli, ma un racconto in soggettiva, quella molteplice e varia dei diversi personaggi, che rende “La danza dei veleni” un romanzo di indagine in senso lato e universale

L’estate è… poesia di un incontro
Il nuovo romanzo di Alberto Garlini, “Il canto dell’ippopotamo” (Mondadori), è un racconto pieno di poesia e di letteratura, in cui lo scrittore friulano propone una lettura dell’opera e della personalità di Luigi Cappello, una delle voci poetiche contemporanee più feconde e interessanti, che si intreccia con il romanzesco e con il memoir della loro amicizia in maniera fascinosa e originale. “Il canto dell’ippopotamo” ha, infatti, l’introspezione ficcante del memoir unito al procedere romanzesco; il passo doppio di una storia d’amicizia e le volute del racconto di un momento culminante e decisivo dell’esistenza, che ritrae due giovani alla ricerca di sé e della propria vocazione poetica ed esistenziale. Punto focale è il rapporto che può intercorrere tra autobiografia e finzione, tra memoria e narrazione, tra verità e romanzesco, che si incarna in un personaggio principalmente: Esther, che in una nota finale al testo Garlini rivela essere l’unico personaggio di finzione dell’intero romanzo che condensa, senza nessun appiglio con dati reali, diverse vicende amorose del periodo della vita che racconta. In “Il canto dell’ippopotamo” irrompe la potenza della parola di Cappello, e il percorso che l’ha portata a essere tale, raccontata con la competenza del saggista e la partecipazione dell’amico e del testimone: questa commistione ha una forza esplosiva che lascia il lettore spiazzato e trasformato.
Il nuovo romanzo di Alberto Garlini, “Il canto dell’ippopotamo” (Mondadori), è un racconto pieno di poesia e di letteratura, in cui lo scrittore friulano propone una lettura dell’opera e della personalità di Luigi Cappello, una delle voci poetiche contemporanee più feconde e interessanti, che si intreccia con il romanzesco e con il memoir della loro amicizia in maniera fascinosa e originale. “Il canto dell’ippopotamo” ha, infatti, l’introspezione ficcante del memoir unito al procedere romanzesco; il passo doppio di una storia d’amicizia e le volute del racconto di un momento culminante e decisivo dell’esistenza, che ritrae due giovani alla ricerca di sé e della propria vocazione poetica ed esistenziale. Punto focale è il rapporto che può intercorrere tra autobiografia e finzione, tra memoria e narrazione, tra verità e romanzesco, che si incarna in un personaggio principalmente: Esther, che in una nota finale al testo Garlini rivela essere l’unico personaggio di finzione dell’intero romanzo che condensa, senza nessun appiglio con dati reali, diverse vicende amorose del periodo della vita che racconta. In “Il canto dell’ippopotamo” irrompe la potenza della parola di Cappello, e il percorso che l’ha portata a essere tale, raccontata con la competenza del saggista e la partecipazione dell’amico e del testimone: questa commistione ha una forza esplosiva che lascia il lettore spiazzato e trasformato.

L’estate è… mal d’Africa
In “Se chiudo gli occhi… la guerra in Siria nella voce dei bambini” (Round Robin editrice) Francesca Mannocchi ha illustrato con la forza delle parole i disegni di Diala Brisly, dando voce ai colori accesi con cui la giovane siriana fuggita in Libano ha cercato di combattere la guerra e la morte. Jasmine, Ahmed, Aya, Mohammed rappresentano i soli innocenti di ogni guerra: i bambini. In “Io Khaled vendo uomini e sono innocente”, forte della competenza sulla situazione in Libia acquisita con i tanti reportage che ha firmato, Francesca Mannocchi lascia la prima persona a un personaggio urticante e controverso, un mercante della morte, un trafficante di esseri umani. Ne offre un ritratto pieno e completo, senza compromessi ed elargizioni, con lo sguardo ficcante della giornalista e la felicità della scrittrice. Sullo sfondo, ma prepotente, la situazione politica ed economica della Libia, la responsabilità e noncuranza delle democrazie occidentali. Un libro che fa del coraggio e della lucidità una chiave necessaria e incontestabile per comprendere e capire, mettendosi nei panni, scomodi e sporchi, di chi non vorremmo mai essere ma di chi è stato costretto a diventarlo dalla miopia della politica internazionale e dal suicidio e dalla frustrazione di una generazione che ha aspirato e lottato per la libertà, e si è ritrovata schiava di nuovi tiranni, primo tra tutti il denaro. In “Se chiudo gli occhi… la guerra in Siria nella voce dei bambini” lo sguardo innocente, in “Io Khaled vendo uomini e sono innocente” il peso delle responsabilità, a partire da una domanda: ma noi siamo davvero innocenti?
In “Se chiudo gli occhi… la guerra in Siria nella voce dei bambini” (Round Robin editrice) Francesca Mannocchi ha illustrato con la forza delle parole i disegni di Diala Brisly, dando voce ai colori accesi con cui la giovane siriana fuggita in Libano ha cercato di combattere la guerra e la morte. Jasmine, Ahmed, Aya, Mohammed rappresentano i soli innocenti di ogni guerra: i bambini. In “Io Khaled vendo uomini e sono innocente”, forte della competenza sulla situazione in Libia acquisita con i tanti reportage che ha firmato, Francesca Mannocchi lascia la prima persona a un personaggio urticante e controverso, un mercante della morte, un trafficante di esseri umani. Ne offre un ritratto pieno e completo, senza compromessi ed elargizioni, con lo sguardo ficcante della giornalista e la felicità della scrittrice. Sullo sfondo, ma prepotente, la situazione politica ed economica della Libia, la responsabilità e noncuranza delle democrazie occidentali. Un libro che fa del coraggio e della lucidità una chiave necessaria e incontestabile per comprendere e capire, mettendosi nei panni, scomodi e sporchi, di chi non vorremmo mai essere ma di chi è stato costretto a diventarlo dalla miopia della politica internazionale e dal suicidio e dalla frustrazione di una generazione che ha aspirato e lottato per la libertà, e si è ritrovata schiava di nuovi tiranni, primo tra tutti il denaro. In “Se chiudo gli occhi… la guerra in Siria nella voce dei bambini” lo sguardo innocente, in “Io Khaled vendo uomini e sono innocente” il peso delle responsabilità, a partire da una domanda: ma noi siamo davvero innocenti?

L’estate è… i racconti delle donne
Basterebbe semplicemente elencarle per comprendere l’eleganza e la raffinatezza con cui Annalena Benini ha selezionato gli inviti per una festa bellissima, quella a cui con “I racconti delle donne” tutti noi lettori siamo invitati per osservare il mondo dalla posizione privilegiata e dalla prospettiva fluttuante della scrittura. Virginia Woolf, Dorothy Parker, Marguerite Yourcenar, Elsa Morante, Clarice Lispector, Natalia Ginzburg, Joan Didion, Edna O’Brien, Margaret Atwood, Grace Paley, Lydia Davis, Alice Munro, Kathryn Chetkovich, Chimamanda ‘Ngozi Adichie, Nora Ephron, Yasmina Reza, Valeria Parrella, Mary Miller, Claire Dederer: ognuna di loro danza e vortica dinnanzi ai nostri occhi, mostrando il caleidoscopio di sentimenti e comportamenti con cui guarda e analizza la realtà, offrendo prospettive proiezioni e visioni, sempre illuminanti e ficcanti. Di ciascuna di loro Annalena Benini offre una lettura sempre attenta e dettagliata, spiegando e motivando con la grazia interpretativa che le è propria.
Basterebbe semplicemente elencarle per comprendere l’eleganza e la raffinatezza con cui Annalena Benini ha selezionato gli inviti per una festa bellissima, quella a cui con “I racconti delle donne” tutti noi lettori siamo invitati per osservare il mondo dalla posizione privilegiata e dalla prospettiva fluttuante della scrittura. Virginia Woolf, Dorothy Parker, Marguerite Yourcenar, Elsa Morante, Clarice Lispector, Natalia Ginzburg, Joan Didion, Edna O’Brien, Margaret Atwood, Grace Paley, Lydia Davis, Alice Munro, Kathryn Chetkovich, Chimamanda ‘Ngozi Adichie, Nora Ephron, Yasmina Reza, Valeria Parrella, Mary Miller, Claire Dederer: ognuna di loro danza e vortica dinnanzi ai nostri occhi, mostrando il caleidoscopio di sentimenti e comportamenti con cui guarda e analizza la realtà, offrendo prospettive proiezioni e visioni, sempre illuminanti e ficcanti. Di ciascuna di loro Annalena Benini offre una lettura sempre attenta e dettagliata, spiegando e motivando con la grazia interpretativa che le è propria.

L’estate è… la felicità dell’acqua
Dieci racconti in “La felicità è come l’acqua” di Chinelo Okparanta, scrittrice nigeriana, dalla penna matura e dallo sguardo intenso e accorato, tradotti da Federica Gavioli con cura e perizia per Racconti edizioni. Donne africane con il loro destino fragile e fugace di felicità, alla ricerca di sé e del proprio spazio vitale in una società patriarcale di cui le donne stesse sono le interpreti talora più intransigenti. C’è un ordinamento ascendente nei racconti, in cui il criterio di felicità si fa sempre più sottile e disperato, e la solitudine più profonda e radicale. La scrittrice mostra un mondo in precario equilibrio tra i riti ancestrali del passato e il bisogno di modernità, tra l’adesione a valori antichi e radicati e l’anelito alla modernità, che investa soprattutto il ruolo della donna e la consapevolezza di sé. Un sguardo altro, che intingendo nella vitalità della letteratura, diventa anche nostro, ci mostra le crepe e le fessure che riguardano l’universo femminile ad ogni latitudine, geografica e di senso. 10) L’estate è… la casa dei nonni Giulia Caminito, dopo l’esordio sorprendente con “La grande A”, torna in libreria con “Un giorno verrà” per illuminare nuovamente un angolo recondito della Storia italiana, quella del movimento anarchico, sconosciuta e marginale, attraverso la storia privata e intima della famiglia Ceresa, in particolare di due fratelli Lupo e Nicola, e del loro asimmetrico rapporto. Come con la vicenda esistenziale di Giada in “La grande A” la scrittrice trascina il lettore in uno scorcio d’Africa, da cui osserva la comunità italiana che vive in Eritrea, così in “Un giorno verrà” da un punto limitato e marginale delle Marche, le vicende di Lupo e Nicola ci spingono nel vortice dei primi decenni del Novecento, in cui speranze e illusioni si mescolano come carte nelle mani di un esperto prestigiatore. La Storia è la linea rossa con un’attenzione alla coralità, come se il vero interesse non sia semplicemente tracciare una parabola esistenziale dei singoli personaggi, ma farli vivere in un contesto determinato che calamita l’attenzione del lettore e la cura della scrittrice. In “Un anno verrà” l’anarchia e le lotte che ha suscitato diventano chiave profondamente umana e intima per indagare i personaggi e il tempo in cui si muovono. Eredità che dal nonno passa ai nipoti, superando e contrastando la generazione dei padri.
Dieci racconti in “La felicità è come l’acqua” di Chinelo Okparanta, scrittrice nigeriana, dalla penna matura e dallo sguardo intenso e accorato, tradotti da Federica Gavioli con cura e perizia per Racconti edizioni. Donne africane con il loro destino fragile e fugace di felicità, alla ricerca di sé e del proprio spazio vitale in una società patriarcale di cui le donne stesse sono le interpreti talora più intransigenti. C’è un ordinamento ascendente nei racconti, in cui il criterio di felicità si fa sempre più sottile e disperato, e la solitudine più profonda e radicale. La scrittrice mostra un mondo in precario equilibrio tra i riti ancestrali del passato e il bisogno di modernità, tra l’adesione a valori antichi e radicati e l’anelito alla modernità, che investa soprattutto il ruolo della donna e la consapevolezza di sé. Un sguardo altro, che intingendo nella vitalità della letteratura, diventa anche nostro, ci mostra le crepe e le fessure che riguardano l’universo femminile ad ogni latitudine, geografica e di senso. 10) L’estate è… la casa dei nonni Giulia Caminito, dopo l’esordio sorprendente con “La grande A”, torna in libreria con “Un giorno verrà” per illuminare nuovamente un angolo recondito della Storia italiana, quella del movimento anarchico, sconosciuta e marginale, attraverso la storia privata e intima della famiglia Ceresa, in particolare di due fratelli Lupo e Nicola, e del loro asimmetrico rapporto. Come con la vicenda esistenziale di Giada in “La grande A” la scrittrice trascina il lettore in uno scorcio d’Africa, da cui osserva la comunità italiana che vive in Eritrea, così in “Un giorno verrà” da un punto limitato e marginale delle Marche, le vicende di Lupo e Nicola ci spingono nel vortice dei primi decenni del Novecento, in cui speranze e illusioni si mescolano come carte nelle mani di un esperto prestigiatore. La Storia è la linea rossa con un’attenzione alla coralità, come se il vero interesse non sia semplicemente tracciare una parabola esistenziale dei singoli personaggi, ma farli vivere in un contesto determinato che calamita l’attenzione del lettore e la cura della scrittrice. In “Un anno verrà” l’anarchia e le lotte che ha suscitato diventano chiave profondamente umana e intima per indagare i personaggi e il tempo in cui si muovono. Eredità che dal nonno passa ai nipoti, superando e contrastando la generazione dei padri.

L’estate è… la casa dei nonni
Giulia Caminito, dopo l’esordio sorprendente con “La grande A”, torna in libreria con “Un giorno verrà” per illuminare nuovamente un angolo recondito della Storia italiana, quella del movimento anarchico, sconosciuta e marginale, attraverso la storia privata e intima della famiglia Ceresa, in particolare di due fratelli Lupo e Nicola, e del loro asimmetrico rapporto. Come con la vicenda esistenziale di Giada in “La grande A” la scrittrice trascina il lettore in uno scorcio d’Africa, da cui osserva la comunità italiana che vive in Eritrea, così in “Un giorno verrà” da un punto limitato e marginale delle Marche, le vicende di Lupo e Nicola ci spingono nel vortice dei primi decenni del Novecento, in cui speranze e illusioni si mescolano come carte nelle mani di un esperto prestigiatore. La Storia è la linea rossa con un’attenzione alla coralità, come se il vero interesse non sia semplicemente tracciare una parabola esistenziale dei singoli personaggi, ma farli vivere in un contesto determinato che calamita l’attenzione del lettore e la cura della scrittrice. In “Un anno verrà” l’anarchia e le lotte che ha suscitato diventano chiave profondamente umana e intima per indagare i personaggi e il tempo in cui si muovono. Eredità che dal nonno passa ai nipoti, superando e contrastando la generazione dei padri.
Giulia Caminito, dopo l’esordio sorprendente con “La grande A”, torna in libreria con “Un giorno verrà” per illuminare nuovamente un angolo recondito della Storia italiana, quella del movimento anarchico, sconosciuta e marginale, attraverso la storia privata e intima della famiglia Ceresa, in particolare di due fratelli Lupo e Nicola, e del loro asimmetrico rapporto. Come con la vicenda esistenziale di Giada in “La grande A” la scrittrice trascina il lettore in uno scorcio d’Africa, da cui osserva la comunità italiana che vive in Eritrea, così in “Un giorno verrà” da un punto limitato e marginale delle Marche, le vicende di Lupo e Nicola ci spingono nel vortice dei primi decenni del Novecento, in cui speranze e illusioni si mescolano come carte nelle mani di un esperto prestigiatore. La Storia è la linea rossa con un’attenzione alla coralità, come se il vero interesse non sia semplicemente tracciare una parabola esistenziale dei singoli personaggi, ma farli vivere in un contesto determinato che calamita l’attenzione del lettore e la cura della scrittrice. In “Un anno verrà” l’anarchia e le lotte che ha suscitato diventano chiave profondamente umana e intima per indagare i personaggi e il tempo in cui si muovono. Eredità che dal nonno passa ai nipoti, superando e contrastando la generazione dei padri.

L’estate è… caldo diabolico
Un’estate infuocata del 1978, un paesino della provincia di Agrigento che ad agosto si riempie dei passi di chi è andato via a cercare fortuna, e ha la fortuna di ritornare in paese per le ferie. Un gruppo di amici, tra cui il diciassettenne Totò, voce narrante del romanzo “Il diavolo d’estate” con cui Giovanni Accardo torna in libreria, inaugurando la collana ATTRAVèRSO della casa editrice Ronzani, dopo l’esordio nel 2006 con “Un anno di corsa” (Sironi Editore), e il diario, a tratti autobiografico, “Un’altra scuola” per Ediesse, decide di organizzare una discoteca per movimentare le serate del sonnolento paese. Una storia che si snoda tra due binari paralleli: il presente narrativo in cui la discoteca è bruciata causando la morte di uno dei giovani, e il passato recente in cui si dà conto delle relazioni, della vita in paese e dell’introspezione dei personaggi che è anche un modo affilato con cui raccontare una terra complicata come la Sicilia della fine degli anni Settanta. Il romanzo è un omaggio alla terra d’origine dello scrittore, che si riflette anche nella lingua con le inserzioni di dialetto che raramente sono nel corpo del testo, ma relegate ai dialoghi, soprattutto quelli famigliari. Anni difficili e a loro modo tremendi, in particolare il 1978 con il senso di spaesamento che avvolse l’Italia dopo il ritrovamento del cadavere di Moro. Ma la Sicilia descritta e le vite dei giovani che ne sono protagonisti, insieme con la varia umanità che popola il paese, ritratta con precisione e attenzione sia al dato sociologico che economico, sono come lontani dalle onde tumultuose delle politica nazionale. Come se della Storia arrivasse solo l’eco e non ne cogliessero in pieno gli effetti, cosicché gli anni Settanta sono fascinosamente uno sfondo più intimo e introspettivo che non storico e politico.
Un’estate infuocata del 1978, un paesino della provincia di Agrigento che ad agosto si riempie dei passi di chi è andato via a cercare fortuna, e ha la fortuna di ritornare in paese per le ferie. Un gruppo di amici, tra cui il diciassettenne Totò, voce narrante del romanzo “Il diavolo d’estate” con cui Giovanni Accardo torna in libreria, inaugurando la collana ATTRAVèRSO della casa editrice Ronzani, dopo l’esordio nel 2006 con “Un anno di corsa” (Sironi Editore), e il diario, a tratti autobiografico, “Un’altra scuola” per Ediesse, decide di organizzare una discoteca per movimentare le serate del sonnolento paese. Una storia che si snoda tra due binari paralleli: il presente narrativo in cui la discoteca è bruciata causando la morte di uno dei giovani, e il passato recente in cui si dà conto delle relazioni, della vita in paese e dell’introspezione dei personaggi che è anche un modo affilato con cui raccontare una terra complicata come la Sicilia della fine degli anni Settanta. Il romanzo è un omaggio alla terra d’origine dello scrittore, che si riflette anche nella lingua con le inserzioni di dialetto che raramente sono nel corpo del testo, ma relegate ai dialoghi, soprattutto quelli famigliari. Anni difficili e a loro modo tremendi, in particolare il 1978 con il senso di spaesamento che avvolse l’Italia dopo il ritrovamento del cadavere di Moro. Ma la Sicilia descritta e le vite dei giovani che ne sono protagonisti, insieme con la varia umanità che popola il paese, ritratta con precisione e attenzione sia al dato sociologico che economico, sono come lontani dalle onde tumultuose delle politica nazionale. Come se della Storia arrivasse solo l’eco e non ne cogliessero in pieno gli effetti, cosicché gli anni Settanta sono fascinosamente uno sfondo più intimo e introspettivo che non storico e politico.

L’estate è… fine della scuola
Rosy Cettina, Milo Gaetano, Sharon Rosalia, Luigi Francesco Marcello Giada: sono i dieci ragazzi che abitano il CEP e le pagine di “Fiori senza destino”, l’esordio narrativo di Francesca Maccani per SEM, che nasce dopo la pubblicazione del saggio “La cattiva scuola”, ed.Tlon, col quale insieme a Stefania Auci, la scrittrice de “I Florio, I leoni di Sicilia”, ha vinto il premio Donna del Mediterraneo nel 2018, dedicato alla legge 107. Il bellissimo titolo “Fiori senza destino” in parte è un’espressione ossimorica dove la positività dei Fiori viene negata dal senza; dall’altra c’è una nota di realismo, dominante nel romanzo: i fiori sono senza destino per la fugacità e fragilità della loro breve esistenza. Eppure in quel Fiori in prima posizione c’è un senso di speranza e di bellezza che traspare integrale nelle pagine nonostante la tragicità delle esistenze e dell’ambiente. “Fiori senza destino” è giocato sul dentro e fuori, che sul finale diventano l’altrove dove è possibile una speranza di rivalsa e di successo, se non per tutti almeno per alcuni: dentro la scuola e fuori nel quartiere, dentro il CEP e fuori nei quartieri borghesi della città di Palermo, dentro la vita dei personaggi che prendono voce in prima persona e fuori nelle decisioni degli adulti, in particolare della professoressa che a un certo punto sente la necessità di abbandonare il CEP e di ritrovare il proprio di destino. Dentro e fuori che sono condensati nelle diverse voci narranti: fuori estranea straniera partecipe sebbene altra la narrazione in terza persona con focalizzazione sulla voce e i sentimenti, le sensazioni e i tremori della professoressa; dentro la narrazione in prima persona dei singoli ragazzi con i loro tragici destini che li rendono vittime e carnefici di se stessi più ancora che degli altri.
Rosy Cettina, Milo Gaetano, Sharon Rosalia, Luigi Francesco Marcello Giada: sono i dieci ragazzi che abitano il CEP e le pagine di “Fiori senza destino”, l’esordio narrativo di Francesca Maccani per SEM, che nasce dopo la pubblicazione del saggio “La cattiva scuola”, ed.Tlon, col quale insieme a Stefania Auci, la scrittrice de “I Florio, I leoni di Sicilia”, ha vinto il premio Donna del Mediterraneo nel 2018, dedicato alla legge 107. Il bellissimo titolo “Fiori senza destino” in parte è un’espressione ossimorica dove la positività dei Fiori viene negata dal senza; dall’altra c’è una nota di realismo, dominante nel romanzo: i fiori sono senza destino per la fugacità e fragilità della loro breve esistenza. Eppure in quel Fiori in prima posizione c’è un senso di speranza e di bellezza che traspare integrale nelle pagine nonostante la tragicità delle esistenze e dell’ambiente. “Fiori senza destino” è giocato sul dentro e fuori, che sul finale diventano l’altrove dove è possibile una speranza di rivalsa e di successo, se non per tutti almeno per alcuni: dentro la scuola e fuori nel quartiere, dentro il CEP e fuori nei quartieri borghesi della città di Palermo, dentro la vita dei personaggi che prendono voce in prima persona e fuori nelle decisioni degli adulti, in particolare della professoressa che a un certo punto sente la necessità di abbandonare il CEP e di ritrovare il proprio di destino. Dentro e fuori che sono condensati nelle diverse voci narranti: fuori estranea straniera partecipe sebbene altra la narrazione in terza persona con focalizzazione sulla voce e i sentimenti, le sensazioni e i tremori della professoressa; dentro la narrazione in prima persona dei singoli ragazzi con i loro tragici destini che li rendono vittime e carnefici di se stessi più ancora che degli altri.